Caporalato, arresti e denunce. Le perquisizioni a Bondeno
Braccianti con documenti falsi e nei campi senza tutele
Bondeno Li facevano entrare in Italia con documenti falsi, e poi li mettevano a lavorare come braccianti nei campi, in condizioni di sfruttamento estremo, senza tutele né diritti, approfittando del loro stato di necessità.
Quattro persone, tra cui un imprenditore residente nel Ferrarese, sono accusate a vario titolo di favoreggiamento dell’immigrazione clandestina e sfruttamento del lavoro - in altre parole: caporalato - nell’ambito di una vasta indagine partita nel 2024 e culminata con arresti, denunce e perquisizioni tra il Mantovano e la provincia di Ferrara. Le perquisizioni sono state eseguite anche a Bondeno, mentre presso lo studio di un commercialista i militari hanno acquisito materiale documentale e informatico. In un armadio nell’abitazione degli arrestati sono stati inoltre trovati e sequestrati 12.650 euro.
L’operazione condotta ieri mattina dai carabinieri del Nucleo investigativo del Reparto operativo di Mantova insieme ai militari del Nucleo ispettorato del Lavoro con il supporto delle compagnie di Gonzaga, Cento e Castelmassa e del 2° Nucleo elicotteri carabinieri di Orio al Serio, ha portato all’arresto di due imprenditori di origine moldava - un uomo di 36 anni e una donna di 42 - residenti nei Comuni di Sermide e Felonica, in esecuzione di un’ordinanza di custodia cautelare emessa dal Gip di Mantova su richiesta della procura.
A due noti imprenditori italiani, un 39enne residente nel Mantovano e un 56enne residente nel Ferrarese, i carabinieri hanno invece notificato un invito a rendere interrogatorio preventivo, finalizzato alla successiva applicazione di una misura cautelare personale, perché ritenuti gli “utilizzatori finali” della manodopera fatta arrivare illegalmente in Italia dalla coppia di moldavi, e per questo accusati di sfruttamento del lavoro.
Le indagini hanno fatto emergere una tipica situazione di caporalato. I braccianti, moldavi, venivano fatti risultare cittadini comunitari di nazionalità rumena o bulgara, per poter entrare in Italia aggirando le procedure previste dai decreti flussi. Per poter lavorare dovevano pagarsi l’alloggio messo a disposizione dai due connazionali, che provvedevano anche ad accompagnarli nei campi. Il tutto con violazioni in tema di orario di lavoro (anche 16 ore filate), riposo settimanale, retribuzione e norme di sicurezza.
I braccianti erano inoltre sottoposti a degradanti misure di sorveglianza e controllo, soggiogati dalla loro condizione di necessità e dalla mancata conoscenza della lingua italiana. E se si ribellavano alle regole imposte dai caporali, la punizione era il licenziamento in tronco e l’immediato espatrio. In caso di ispezioni, poi, erano indotti a riferire il falso dagli sfruttatori, che si sono resi responsabili anche di inquinamento delle prove.
L’indagine coordinata dalla procura di Mantova si è avvalsa di attività tecniche di intercettazione, facendo ricorso ai canali di cooperazione internazionale Europol per la verifica dell’autenticità dei documenti di identità dei lavoratori stranieri, a riprova che gli indagati avevano piena consapevolezza riguardo allo stato di clandestinità degli immigrati.
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