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Dal Burkina Faso rifugiata a Ferrara dopo violenze e carcere, la storia di Aminata

Stefania Andreotti
Dal Burkina Faso rifugiata a Ferrara dopo violenze e carcere, la storia di Aminata

Le aggressioni, il matrimonio forzato, il lavoro come schiava, la traversata su un barcone alla deriva. Aminata ha 21 anni: la sua storia, oggi in un libro, è quella di una sopravvissuta, che ora ha una voce che userà "per ispirare, per proteggere, per sognare"

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Ferrara Ventuno anni e alle spalle una vita che ne contiene tante, troppe altre. Aminata Kinda è arrivata a Ferrara due anni fa dal Burkina Faso, portando con sé ferite interne ed esterne incancellabili. Poi un progetto per rifugiati, un cugino ritrovato a Comacchio, una famiglia accogliente, una scuola di italiano inclusiva hanno segnato per lei un nuovo inizio. Al corso per stranieri di Cittadini del Mondo ha studiato la nuova lingua con tale impegno da decidere di iniziare a restituire quello che imparava sul suo canale TikTok, guadagnando un milione e mezzo di like, oltre 130mila follower, e raggiungendo fino a due milioni di visualizzazioni per il video in cui spiega la canzone “Sarà perché ti amo” dei Ricchi e Poveri.

Seria e studiosa, ma anche ironica, critica e appassionata, nei suoi brevi filmati torna quello che ha tutto il diritto di essere: una giovane donna piena di vita e determinazione. Il contrario di quello a cui rischiava di essere ridotta, e che ha voluto raccontare in un libro, “Scrivere per rinascere”.

«Questa è la mia storia. Forse no», chiarisce fin dal sottotitolo. Per dipanare la sua breve e drammatica infanzia e adolescenza Aminata si affida infatti ad un alter ego narrativo, Sofia. «Non volevo parlare di me, ma di tutte quelle come me». Così non ci sono nomi o riferimenti geografici, ma episodi che scandiscono il destino di una piccola donna che sembrava condannata, invece, con la sua forza è riuscita a sfuggire all’inferno. Il padre violento, la mutilazione genitale, il matrimonio forzato, le aggressioni dello sposo, una gravidanza precoce, la fuga, il lavoro come schiava, un’altra fuga, il carcere, la traversata su un barcone alla deriva. Senza mai perdere la speranza e quel volto gentile, attento, e la voglia di imparare, che ora l’ha portata all’Università di Bologna a studiare Educazione sociale e culturale.

«Questa storia non è stata scritta per suscitare pena. È stata scritta per liberare. Per dare voce a chi non ce l’ha. Per dare forza a chi la sta perdendo. Io non sono una vittima. Sono una sopravvissuta. Una donna. Una madre. Una combattente. Una studentessa. Una figlia della terra. Una portatrice di speranza». Ci ha tenuto a chiarire Aminata davanti a decine di studenti di italiano riuniti, forse per l’ultima volta a causa dell’imminente sfratto, nella sede dell’associazione Cittadini del Mondo in via Kennedy. In accordo con quelli che sono stati i suoi insegnanti, è voluta tornare in quel luogo per lei così caro e importante, per restituire la sua esperienza a chi probabilmente ha avuto una sorte comune alla sua.

«In queste pagine – ha proseguito – ho messo il mio passato, ma anche il mio presente e il mio futuro. Ho lasciato parole che pesano, ma anche parole che curano. Perché la vita mi ha insegnato una cosa: se non puoi cambiare il tuo inizio, puoi riscrivere il tuo domani. Oggi ho una voce. E non la userò per urlare. La userò per costruire. Per ispirare. Per proteggere. Per sognare. Questo libro è per ogni donna che si è rialzata. Per ogni bambino che cerca amore. Per ogni cuore che batte ancora, anche se ferito. È per te. Che stai leggendo. Spero che da queste pagine tu abbia raccolto qualcosa: una forza, una verità, una luce. Perché, in fondo, il dolore condiviso diventa coraggio. E il coraggio condiviso diventa futuro. La mia vita sta solo cominciando. E il meglio…deve ancora venire. Questa può essere la mia storia. Forse sì, forse no».

E mentre i suoi docenti e compagni di studio la stanno aiutando ad organizzare una presentazione del libro all’università, un team di avvocate, prendendo spunto da vicende come quelle narrate di Aminata, sta lavorando alla proposta di un permesso di soggiorno specifico per motivi di genere, che comprenda tutti i soprusi che una donna è ancora costretta a subire e ai quali deve potersi sottrarre.

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