Maranza a Ferrara, aiuti alle famiglie: scuola e associazioni in campo
L’intervento del presidente dei musulmani di Ferrara
Ferrara Sul fenomeno dei cosiddetti “maranza” si è aperto un dibattito in città su cui ora interviene il presidente dell’associazione musulmani di Ferrara Hassan Samid. La sua riflessione arriva dopo un botta e risposta politico istituzionale aperto dalla consigliera comunale di Fratelli d’Italia Iolanda Madeo, a cui ha replicato la consigliera M5s Marzia Marchi, e a cui hanno fatto seguito le dichiarazioni del sindaco Alan Fabbri.
Hassan Samid
Si tratta, premette Hassan Samid, di una questione complessa che riguarda una realtà. La questione maranza è «una realtà seria», ed è positivo che «molti politici, indipendentemente dal colore, si approcciano al tema con prudenza e ne riconoscono la complessità», riflette aggiungendo di sottoscrivere pienamente le parole del sindaco Fabbri. «Ora però, una volta preso atto del fenomeno, cosa possiamo fare? Ho usato appositamente il “noi” perché siamo in tanti a dover fare la nostra parte». Nessuna “soluzione miracolosa”, ma la volontà di «fornire spunti utili su cui ragionare e lavorare» in modo concreto.
Il fenomeno maranza, chiarisce, si riferisce a «(micro)delinquenza portata avanti da adolescenti di origine straniera spesso nati o cresciuti in Italia. Il fenomeno allarma per le sue dimensioni, capillarità e dinamiche standardizzate. Manifestano un forte disagio nei confronti della società dove vivono, si sentono ai margini, inferiorizzati e faticano a gestire la loro identità complessa». Il primo passo è «capire cause e caratteristiche di questo dramma. Come mai i ragazzini figli immigrati sono i protagonisti principali delle bande maranza? Perché un ragazzino italiano ha molte meno probabilità di finire attore di queste dinamiche?». Il primo motivo, riflette Samid, sta nel fatto che «questi ragazzi sono figli di immigrati di prima generazione, quindi di genitori arrivati in Italia partendo da zero. Normalmente la condizione economica di queste famiglie è precaria: non hanno case di proprietà, non hanno risparmi di famiglia, non hanno eredità e hanno famiglie numerose nei paesi di origine alle quali sono ancora molto legati e di cui spesso si fanno carico». In secondo luogo, «i genitori dei ragazzini maranza, essendo appunto di prima generazione, non hanno vissuto la loro adolescenza in Italia. A questo va aggiunto una scarsa comprensione della lingua e della cultura del paese dove vivono insieme ai figli. Si ritrovano quindi a fare i genitori secondo un modello di vissuto che non corrisponde alla realtà italiana. Come può un genitore che parla poco italiano a comunicare con i figli che invece parlano solo italiano e pochissimo la lingua dei genitori»?
Ne deriva quindi un «problema di identità. Un quindicenne nato a Ferrara da genitori marocchini è italiano o marocchino? Quanto è italiano e quanto marocchino? La questione dell’identità merita un mare di tempo e pagine che non abbiamo. Mi limito a dire che è una delle chiavi di lettura principali di questo fenomeno. Abbiamo bisogno di una società, famiglie straniere in primis, che facciano passare il messaggio che identità plurime non sono una debolezza ma devono e possono essere una ricchezza. Sbaglia la famiglia straniera che vuole forzatamente tenere i figli ancorati solo alla cultura di origine demonizzando quella dove vivono. Sbaglia una società e una classe politica che vuole negare l’italianità a chi è nato e cresciuto in Italia e vuole essere italiano». La riflessione si sposta poi sulle scelte politiche, però non riferite «assolutamente al dibattito, credo dannoso e inutile, sullo Ius Soli. Sono pienamente convinto che questi ragazzini abbiamo bisogno di ben altre politiche, prioritarie rispetto alla cittadinanza italiana (che spesso hanno già). Cito solamente due temi: politiche urbanistiche e la scuola. Quartieri e zone delle nostre città sono diventati ghetti grazie alle scelte di concentrare (solo) in queste aree le case popolari. Il risultato è un concentrato di disagio di ogni genere che rende le famiglie immigrate fisicamente isolate dal resto della città. In questo modo sono aiutati a rimanere stranieri. Fioriscono barbieri “etnici”, minimarket “etnici”, scuole di lingua di origine, associazioni di stranieri, donne straniere che al parco parlano e si ritrovano con altre donne straniere. E le scuole di queste zone non possono fare altrimenti che diventare specchio dei ghetti: classi con italiani e italiano (come lingua) in minoranza. Sono purtroppo scuole con qualità didattica di serie b. E le conseguenze sono l’alto numero di studenti immigrati che si iscrivono a scuole superiori professionali (concentrato di disagio giovanile) e pochissimi invece nei licei».
La domanda è «quindi cosa possiamo fare»? Se per agire alle radici di un problema tanto complesso occorrono strategie altrettanto articolate «non possiamo distrarci dall’urgenza dei problemi quotidiani», mettendo in campo azioni immediate. Quali? Primo: «Dare supporto alle famiglie di questi ragazzini, utilizzando anche il contributo prezioso di giovani eccellenze di origine straniera, che per fortuna sono tanti, in ambito sportivo, sociale e politico». Secondo: «Coinvolgere associazioni e realtà religiose straniere nella gestione e intercettazione di criticità». E infine «sensibilizzare le scuole di ogni grado sul fenomeno e tenere un monitoraggio continuo e coordinato. Il mondo della scuola spesso ci può fornire con qualche anticipo segnali di allarme». Tutto questo, conclude Hassan Samid, senza «prescindere da una gestione attenta e ferma dell'ordine pubblico». Nei giorni scorsi si erano susseguiti diversi interventi sul tema.
Iolanda Madeo (Fdi)
La parola “maranza” « è diventata sinonimo di disordine, vandalismo e impunità». «Ragazzini, spesso minorenni, adottano le dinamiche del branco, vestiti in modo appariscente, alimentati da una sottocultura fatta di sfide, video-ostentazione del degrado e disprezzo per ogni regola» Occorre quindi «tolleranza zero verso gli atti vandalici, anche da parte di minori; inasprimento delle pene per chi organizza o partecipa a risse; un piano educativo nazionale che coinvolga scuola, famiglie e realtà del territorio per recuperare una generazione che rischia di perdersi; maggiore controllo dei social network e contrasto alle “challenge” violente».
Marzia Marchi (M5s)
«Lo sviluppo della cosiddetta movida favorito in vari modi dalle amministrazioni, prima di sinistra e ora, con un impulso speciale da destra, è parte integrante e responsabile di questo fenomeno. Se viene sdoganato il diritto di appropriarsi della città, nelle sue strade e nelle sue piazze in maniera privata in nome del supposto svago, è chiaro che in un attimo il concetto di bene collettivo usufruibile a tutti viene stravolto».
Il sindaco Fabbri
«Io penso l’esatto contrario: il problema non è la movida, ma la mala movida. I titolari di bar, locali e organizzatori di eventi sono i nostri primi alleati nel contrasto ai fenomeni pericolosi che vediamo in tutte le città italiane, come quello dei cosiddetti “maranza”. Per questo abbiamo creato il protocollo “Movida Sicura” e continuiamo a investire su questo tema, anche con nuovi street tutor, per garantire a tutti il diritto allo svago in totale sicurezza». Il problema “maranza” «riguarda non solo i nostri giovani, influenzati da modelli poco edificanti, ma anche le seconde generazioni, i figli di chi ha scelto di vivere in Italia. Molti sono onesti lavoratori, parte integrante della nostra comunità. Io stesso ricevo messaggi (in arabo e in italiano) da giovanissimi studenti che chiedono campi da calcetto, reti ai canestri, cantanti da ospitare al Ferrara Summer Festival e nuove opportunità. Con loro cerco di avere sempre un dialogo costante, perché voglio che abbiano fiducia nelle istituzioni. Ma altri, soprattutto tra i ragazzi di origine magrebina, tendono a isolarsi, a fare branco, a rifiutare le regole e l’autorità». E il tutto «può essere alimentato anche da sedicenti predicatori integralisti o da ciò che ascoltano in famiglia. È una tendenza che cresce e che non possiamo più ignorare. Se non interveniamo ora a tutti i livelli, mettendo da parte le ideologie politiche, rischiamo di perdere la nostra identità, la nostra libertà e tutti quei valori su cui si fonda la nostra democrazia».
Zerbini e Minarelli (Pd)
«Scaricare sulla questione dell’etnia l’incapacità della giunta di affrontare il disagio giovanile è la cosa più semplice — e al tempo stesso la più sbagliata. Non perché non ci siano ragazzi di origine straniera tra chi vive situazioni di difficoltà, ma perché è innegabile che ci siano altrettanti, se non di più, giovani italiani. Ignorare questo dato significa non capire la natura del problema. Il disagio non ha passaporto: nasce dal vuoto educativo, dall’assenza di spazi, dalla mancanza di comunità. Affrontarlo davvero richiede un percorso complesso, che coinvolga la scuola, le famiglie, le associazioni e il territorio tutto». Anche per questo «sottrarre alle associazioni spazi e sostegno significa rinunciare a una parte fondamentale della soluzione, per inseguire una narrazione comoda ma pericolosa», concludono, mentre il gruppo consiliare Pd chiede la convocazione di una commissione urgente pluridisciplinare sui temi della sicurezza, scuola e welfare.
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