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L’inchiesta

Caso Pma a Lagosanto, la testimonianza: «Il nostro embrione è al Delta, che fine farà?»

Annarita Bova
Caso Pma a Lagosanto, la testimonianza: «Il nostro embrione è al Delta, che fine farà?»

L’appello di una coppia: «È un pensiero che resta fisso, nessuno ci ha ancora chiamati»

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Lagosanto «Vogliamo sapere che fine ha fatto o che fine farà il nostro embrione». Una delle coppie che negli anni scorsi si è sottoposta a due cicli di Pma all’ospedale del Delta di Lagosanto ora chiede spiegazioni. «Siamo fuggiti da quel posto ormai da tempo - raccontano -. Il nostro, come quello di tante coppie, è stato un percorso difficile e doloroso, soprattutto dal punto di vista psicologico. Pensavamo di non esserci trovati bene noi, effettivamente ognuno reagisce in maniera diversa così non abbiamo puntato il dito, ma ci siamo fermati». Claudia, nome di fantasia, si è sottoposta a due cicli di procreazione medicalmente assistita di terzo livello.
Il racconto

«La prima volta si sono formati tre embrioni, ho fatto in transfer ed è andata male. Me lo hanno comunicato con una mail, freddissima e che conservo ancora. Come tutto, del resto. Mi avevano detto che sì, sarebbe stato difficile per tutta una serie di motivi ma è il modo che alle volte spiazza». Respira e va avanti: «È la prassi, ho pensato. Dopo la prima visita sono andata in bagno e ho pianto. “Denuncia”, mi aveva consigliato il personale interno. Ma non l’ho fatto». Sono passati due anni, «e siamo tornati per riprovarci. Niente da fare. Sono anche andata in iperstimolazione ovarica, ricoverata al Sant’Anna di Cona dove mi hanno curata». A quel punto, «abbiamo detto basta, al Delta non ci siamo più voluti andare. Non mi hanno fatto esami richiesti invece in altri centri e non mi hanno detto che avevamo diritto all’esenzione per alcuni farmaci anche molto costosi e importanti, così la spesa che abbiamo affrontato è stata comunque molto elevata».

E arriviamo al punto cruciale: «Uno dei nostri embrioni è rimasto congelato in quel reparto. Un pensiero fisso, quotidiano. Ovviamente ogni percorso ha i suoi scogli e noi non li avevamo ancora superati. Eravamo in attesa, insomma, di poterci riprovare e ci stavamo informando su come fare per “riaverlo”. Poi l’ennesima doccia fredda. Come se il dolore non fosse già abbastanza. In quel centro c’è la nostra speranza e nessuno al momento ci ha spiegato cosa dobbiamo fare, come lo dobbiamo fare e cosa succederà. Eppure sarebbe dovuto essere il primo pensiero. Spedire una mail, una telefonata e informare le coppie che in questo momento brancolano nel buio». Ora, «manderemo una pec alla Direzione sanitaria per avere immediatamente informazioni e per capire in che modo ci stanno tutelando. Abbiamo saputo tutto dai giornali, nessuno si è preoccupato di informarci su quanto stava accadendo. Sapevano di dover sospendere il servizio, di dover chiudere il reparto ma noi coppie siamo state e siamo ancora l’ultimo pensiero, quando invece dovremmo essere al centro di ogni cosa perché ci siamo affidati a loro, dandogli in mano il nostro presente e futuro. Siamo e restiamo numeri. Il dolore, la sofferenza, la speranza non contano. Qualcuno, forse, ha delle colpe. Qualcosa, forse, non è stato fatto correttamente. Ma quello che continua a succedere non può essere in alcun modo giustificato o giustificabile. Diteci, per favore, come dobbiamo muoverci». 

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