La Nuova Ferrara

Ferrara

In tribunale

Suicidio in carcere a Ferrara, assolto l’agente che doveva controllare

Daniele Oppo
Suicidio in carcere a Ferrara, assolto l’agente che doveva controllare

Era l’unico imputato per la morte in cella del 29enne Lorenzo Lodi. Ma si profila una nuova indagine

3 MINUTI DI LETTURA





Ferrara Il 1º settembre del 2022 Lorenzo Lodi si è tolto la vita in carcere a 29 anni, nella cella numero 5 della sezione nuovi giunti dove era stato collocato da poco più di un giorno, in attesa della decisione di un giudice sul suo arresto. In tanti sapevano che aveva intenzione di togliersi la vita. Nessuno, fino ad ora, è risultato responsabile per non aver fatto niente per impedirglielo, mentre la sua vita era affidata allo Stato.

Per la sua morte, quattro persone sono state indagate in questi anni, una sola è stata imputata, con un’imputazione coatta decisa dal giudice per le indagini preliminari: l’agente della Polizia penitenziaria Giuseppe Palermo, lo stesso che ha trovato Lodi privo di vita e che, secondo l’accusa, avrebbe “dimenticato” di sorvegliarlo per molte ore, disattendendo uno specifico ordine di servizio emesso dall’allora comandante. Palermo è stato assolto ieri mattina dal giudice dell’udienza preliminare Andrea Migliorelli «perché il fatto non sussiste». La sua difesa, sostenuta in udienza dall’avvocata Chiara Carrino dello studio legale Alberto Bova, si è incentrata in particolare su un fatto: quell’ordine di servizio Palermo lo avrebbe ricevuto solo pochi minuti prima di andare effettivamente a controllare le condizioni di Lodi, quando era ormai troppo tardi. Per oltre tre ore quel ragazzo è rimasto in balia della sua solitudine e dei suoi pensieri. «Ci aspettavamo questa assoluzione – commenta l’avvocato Bova –. Palermo non avrebbe potuto fare nulla di più di quanto ha fatto».

Il pubblico ministero Andrea Maggioni, che assunto il caso in una fase già avanzata, aveva chiesto una condanna a 8 mesi di reclusione. E anche se la discussione è avvenuta a porte chiuse, le parole usate dal pm nella requisitoria sono state pronunciate a volume sufficientemente alto da risuonare nell’ultimo piano del Palazzo di giustizia di Ferrara, dove si è celebrata l’udienza. «Palermo è rimasto con il cerino in mano», ha detto il magistrato, lasciando ampiamente intendere di non ritenere sufficiente il lavoro fatto da chi lo ha preceduto in merito all’accertamento delle responsabilità delle persone coinvolte in una vicenda nella quale i buchi non mancano. Un esempio: non si conosce l’orario di emissione dell’ordine di servizio. E di buco, anche se di tipo normativo, aveva parlato anche la Procura nelle richieste di archiviazione. «Qui è passato un elefante e non è stato visto», ha detto il pm ieri. Facile che arrivi una richiesta di riapertura delle indagini.

«Rispettiamo la sentenza, ma il percorso giudiziario di questa vicenda non finisce qui», ha aggiunto a margine dell’udienza l’avvocato Antonio De Rensis, che assiste i familiari di Lodi, con il chiaro intento di andare fino in fondo. Lodi era entrato in carcere il 31 agosto, dopo essere stato arrestato dai carabinieri, che erano intervenuti – e non è un fatto secondario – perché allarmati dalla madre e dalla ex del 29enne, preoccupate per i messaggi in cui diceva di volersi togliere la vita. Non lo fece, tornò a casa, indicò lui ai militari il possesso di una pistola e di un po’ di droga. Lo arrestarono. Lo portarono in carcere. Qui, inizialmente, e nonostante fosse indicato il motivo di intervento dei carabinieri, il rischio suicidio venne qualificato come basso. Poi venne alzato. E il famoso cerino ha iniziato a passare di mano in mano, fino a quella di Palermo e, per quanto se ne sa oggi, forse era già spento. 

© RIPRODUZIONE RISERVATA