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Il “bambino zero” di Veleno si racconta all’Ariostea di Ferrara

Davide Bonesi
Il “bambino zero” di Veleno si racconta all’Ariostea di Ferrara

Il bimbo di cui si parla nel podcast di Pablo Trincia è Davide Tonelli Galliera, che si racconta in un libro: «E’ la mia vicenda personale: l’ho fatto per i miei genitori che non ci sono più. In queste pagine ci siamo noi vittime»

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Ferrara Lo scorso luglio mille persone hanno gremito piazza Costituente a Mirandola per ascoltare Pablo Trincia, autore del bestseller “Veleno”, e Davide Tonelli Galliera, che presentava il libro “Io, bambino zero”. Era presente l’onorevole Carlo Giovanardi, che ha da sempre seguito questa incredibile vicenda: nel suo intervento ha sottolineato che purtroppo c’è chi ancora continua a sostenere teorie fantasiose, mentre «ci dovrebbe essere l’impegno di tutti per arrivare in futuro a ricomporre l’unità familiare dei genitori superstiti con i figli rimasti e i loro fratelli e sorelle allontanati a suo tempo in base a false accuse».

Il caso è quello raccontato nel podcast di Trincia, “Veleno”, Tonelli Galliera è il bambino zero di questa storia che si è sviluppata nella Bassa Modenese coinvolgendo però anche persone della nostra provincia, in primis l’avvocato Patrizia Micai. Domani (sabato 29 novembre) alle 11 Tonelli Galliera - con Antonella Diegoli (presidente FederVita Emilia Romagna) - alla biblioteca Ariostea presenta il suo libro, che ha per sottotitolo “Come la giustizia ha fallito: la mia verità sul caso dei diavoli della Bassa Modenese”. Il giovane autore ha appena comprato casa e sta faticosamente cercando di riprendersi il cognome. Il lavoro per arrivare a questa pubblicazione è stato tutt’altro che facile: «Complicatissimo - ci racconta -, soprattutto perché per tre anni ho dovuto leggere delle carte. Ho riletto tutto dall’inizio alla fine almeno quattro volte, perché doveva essere inattaccabile: quando affronti temi di questo tipo arriva immediatamente la querela e rischi che il libro venga tolto dal commercio, come accaduto con don Ettore Rovatti, che citava alcuni nomi fra cui quelli dei genitori affidatari. Il motivo che mi ha spinto a scrivere è per mia mamma, i miei genitori naturali, per quanto hanno sofferto in questa vicenda. Genitori che non sono più riuscito a vedere, sono entrambi morti…».

Il libro si sofferma sulla vicenda personale di Davide: «Ho messo dentro il mio vissuto personale e anche la documentazione, pur leggendo tutto le carte del processo per sapere la chiusura, riguarda solo gli atti che mi coinvolgono personalmente. Cito solo la storia di un’altra persona, perché l’hanno collegata a me, ma io neppure so che faccia ha. Di fatto, comunque, in queste pagine ci siamo noi vittime, dall’altra parte non so neppure chi c’è, è stato difeso e tuttora viene difeso l’indifendibile e detto il contrario di tutto. Ma sia chiaro, parlo sempre della mia vita».

Un libro complicato, che però ha avuto un grande risalto, soprattutto nel suo territorio: «Commenti ne sono arrivati tantissimi, negativi pochi, di persone che non conoscono la vicenda e commentano. Ma sono solo due sulle centinaia di persone che mi scrivono ancora oggi e mi fanno i complimenti. A volte sembra incredibile vedere i professionisti che sono coinvolti in queste vicende, penso anche a Bibbiano. Hanno provato a fermarmi, ma non possono farlo: dico la verità e il testo è inattaccabile. E, lo ripeto all’infinito, di queste persone conosco solo la mia matrigna, gli altri non mi conoscono e parlano della mia esperienza, quella che ho vissuto io!. Ci sono anche persone che mi scrivono per raccontare le loro storie, provo ad aiutarli, ma è difficile, io sono da solo e non sono un avvocato né un politico». 

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