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Grido d’allarme

Mesola, il cervo italico specie a rischio. Ma c’è un progetto per salvarlo

Stefani Andreotti
Mesola, il cervo italico specie a rischio. Ma c’è un progetto per salvarlo

Un servizio speciale di National Geographic firmato dal naturalista Martinelli: «Ero venuto per il granchio blu, poi ho scoperto questo animale affascinante»

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Mesola “Salviamo il cervo italico” è con questo titolo che il numero di novembre del National Geographic Italia, una delle più note riviste scientifiche del mondo, porta i suoi lettori dentro il progetto per salvare il cervo della Mesola, l’unica sottospecie nazionale che è a rischio di estinzione, come già aveva segnalato il quotidiano britannico The Guardian nel 2023. A firmare l’articolo, corredato dalle suggestive fotografie di Elisabetta Zavoli, è il naturalista Francesco Martinelli, divulgatore scientifico, formatosi al Master in giornalismo e comunicazione istituzionale della scienza dell’Università di Ferrara.

«Mi occupo di conservazione e in generale di racconto e comunicazione di scienze della natura – ha spiegato Martinelli a La Nuova Ferrara –; tra il 2022 e il 2023 con Elisabetta mi trovavo a Goro per documentare l’invasione del granchio blu e il naturalista Daniele Maccapani ci ha parlato per la prima volta della cosiddetta “Operazione cervo italico”, il progetto di reintroduzione in natura del cervus elaphus italicus, dal Boscone della Mesola al Parco naturale regionale delle Serre, in Calabria. Fino a quel momento io ero passato da Mesola solo per raggiungere la Sacca, ma da quel momento quell’isola verde immersa in un mare artificiale di appezzamenti coltivati, canali e strade, è diventata l’obiettivo delle nostre attenzioni, così abbiamo deciso di tornare, l’anno successivo, per approfondire la storia che questo mese è finita in copertina sul mensile».

Addio lupi e orsi

Il Bosco della Mesola, porzione della foresta planiziale costiera del Delta del Po, che oggi è un’area boschiva recintata di poco più di mille ettari, «stretta – come scrive Martinelli – tra l’Adriatico e le linee geometriche dei campi, è tutto ciò che resta dell’immensa foresta che ricopriva la Pianura Padana». E dove tra boschi, radure e zone umide proliferavano cervi, orsi e lupi. Poi la progressiva antropizzazione del territorio, con caccia, disboscamento e urbanizzazione, ha nei secoli allontanato e decimato le specie presenti, fino a ridurre l’unico cervo endemico della nostra penisola a un passo dall’estinzione definitiva. Poi dagli anni ’70 l’istituzione della Riserva, la maggiore attenzione al turismo ambientale e alla conservazione animale, hanno riportato i pochi esemplari rimasti, agli attuali 300. Che non sono però fuori pericolo, essendo concentrati in una singola zona, esposti al rischio di calamità e pandemie che potrebbero decimarli nuovamente.

Verso la Calabria

Da qui l’idea, finanziata da Regione Calabria e Wwf, sostenuta da una rete di partner istituzionali e del mondo della ricerca, di esportare a sud alcuni esemplari del Boscone per ripopolare le montagne tra l’Aspromonte e la Sila, al fine di garantirne la conservazione anche in altri areali. Un percorso che Martinelli ha seguito e dettagliatamente documentato nell’ampio reportage del National Geographic. «Ho partecipato attivamente alle sessioni di cattura, dormendo nelle strutture all’interno del bosco e intervistando decine di persone tra ricercatori, gestori, guardiaparco, carabinieri della forestale, zoologi, e andando fino in Calabria per seguire la liberazione, momento molto emozionante, e il successivo inserimento. Elisabetta si è recata per un anno interno a Mesola per immortalare il cervo in tutte le stagioni, anche grazie a due fototrappole che ci sono state fornite dalla National Geographic Society».

Adattabilità

Un lungo lavoro che Martinelli ha portato faccia a faccia con il nostro cervo. «Era la prima volta che vedevo un cervo di pianura, più piccolo e compatto di quello rosso europeo, ma non meno affascinante. È stata un’esperienza coinvolgente, che mi ha riavvicinato alla dimensione più primitiva del rapporto con l’animale, ma senza violenza, perché tutto era fatto con rispetto e per il suo bene. Ad impressionarmi oltre, all’incontro con i branchi di cervi, è stato il Bosco della Mesola, un fitto groviglio di vegetazione dove la luce entra appena, che ti si para davanti dopo infiniti chilometri di terra coltivata. Altra cosa che mi ha colpito è come nel Boscone il cervo avesse familiarità con l’uomo (lo sanno quanti visitano il Boscone e immortalano il cervo, ndr), mentre una volta trasportato in Calabria – scelta dettata dall’assenza di altre specie di cervo o di daini con cui poteva confliggere – abbia ben presto recuperato la sua natura selvatica, adattandosi a luoghi impervi e a predatori come il lupo». Quindi, la speranza è che ora possa vivere anche lontano dal territorio ferrarese, per scongiurare il rischio di estinzione. 

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