Ravenna, per il veterinario i conti in aula: «Non c’è la sproporzione indicata»
Il perito: «Un’evasione minore rispetto a quanto invece contesta l’accusa»
Ravenna Entrate complessive di quasi 675.600 euro in sei anni. Tutti d’accordo sul patrimonio vantato dal dottor Mauro Guerra. Una cifra che tra clinica veterinaria, azienda agricola, investimenti, introiti vari e contanti supera abbondantemente il milione e mezzo. Ma sulla presunta sproporzione tra le capacità economiche reali e quelle dichiarate al Fisco «c’è un’importante distanza tra le prospettazioni dei consulenti». Facile previsione data la complessità dell’argomento e considerate le differenti posizioni sulla contestata frode fiscale che secondo la Procura ha accompagnato l’attività del veterinario 51enne di Sant’Antonio (con attività ai Lidi), quantomeno tra il 2014 e il 2019.
L’udienza
In tribunale a Ravenna il dottor Stefano D’Orsi, perito incaricato dal giudice Piervittorio Farinella, ha spiegato l’esito di uno studio durato sei mesi, sforbiciando in parte le cifre elencate nel capo d’imputazione e ridimensionando la presunta evasione. Concluso l’esame, ora è attesa la sentenza per un processo già giunto alle battute finali, con l’accusa che ha chiesto la condanna a 13 anni e 4 mesi di reclusione: 7 anni appunto per i reati fiscali, e i restanti (oltre a 100mila euro di multa) per i contestati maltrattamenti e uccisioni di animali. L’indagine a suo tempo coordinata dal pm Marilù Gattelli (in aula il procuratore capo Daniele Barberini e il vice procuratore onorario Simona Bandini) era giunta a quantificare quasi 365mila euro di Iva non versata, frutto di guadagni occultati grazie a una doppia contabilità in nero e criptata, rinvenuta in un baule. E proprio su quella documentazione affidata ad agende e traboccante di post-it, si è concentrata parte dell’analisi dell’esperto.
Tra le evidenze riportate in aula, è emerso che «gli incassi erano per il 75% in contanti e per il restante 25% con strumenti tracciabili come bancomat». Da quei manoscritti arricchiti di cifre e asterischi è chiaro inoltre che «le risorse monetarie provenivano da un coacervo di attività». Tuttavia «non c’è unanimità nel dire che i numerini aggiunti si riferissero ad attività extra contabile».
Incassi
Stessa cosa riguardo ai post-it: «Fanno certamente riferimento a denaro contante perché riportano tagli di banconote e valori – prosegue D’Orsi -, ma è impossibile dire che indichino il denaro contante ritrovato nella scatola». Vale a dire quei famosi 615mila euro nascosti in scatoloni di polistirolo. Per i legali di Guerra non c’è la sproporzione ravvisata dall’accusa. Per il perito invece sì, ma più modesta, quantificata in 43mila euro sul nucleo familiare del dottore, più altri 47mila euro se si considerano anche i redditi intestati ai genitori, così come ritenuto dalla Procura. In questo bailame di numeri e calcoli da addetti ai lavori, è chiaro che il perito abbia tagliato le stime fatte dall’accusa sull’imposta evasa, pur ritenendole per alcune annate oltre la soglia di punibilità. Nel complesso, i difensori di Guerra sostengono di aver messo a segno un punto importante, prima della sentenza: «La perizia ha scardinato le fondamenta dell’impianto accusatorio – dichiara l’avvocato Maruzzi – attraverso una accurata analisi della vicenda finanziaria».
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