Salamina da Sugo, un’eccellenza ferrarese per tutte le stagioni
L’imprenditore agricolo norcino, Angelo Calura: «Una specialità non solo a Natale. All’Antica Fiera di Portomaggiore e alla Sagra di Sandolo è un prodotto che spopola»
Ferrara La Salamina da Sugo, simbolo culinario del territorio ferrarese, non è soltanto l’orgoglio dei produttori locali che la commercializzano col marchio certificato Igp da oltre un decennio, e la proposta gastronomica dei ristoratori ai commensali, ma è, e resta sempre, l’orgoglio di chi ne fa ancora un rito conviviale casalingo con la macellazione del maiale in questo periodo.
Una prelibatezza per quei nuclei famigliari, ancora tanti, che la dispongono nelle proprie tavole nei pranzi e nelle domeniche di Natale, Capodanno e Pasqua, con il classico abbinamento di purè di patate o, più di recente, con altri succulenti accostamenti tipo nouvelle cuisine.
Ci sono tanti gruppi di volontari nel ferrarese che coltivano l’arte della norcineria con al centro la Salama da Sugo, arte che vanta anche tante piccole enclave sparse un po’ ovunque ben oltre quelle più conosciute dell’Alto Ferrarese nei Comuni di Cento e Vigarano Mainarda, o del Medio e Basso Ferrarese come Copparo e Fiscaglia, laddove le sagre talvolta fungono da volano. Non mancano tutti questi requisiti nell’area portuense, dove ancora la tradizione impera ancora «non solo a Natale e Pasqua, ma pure durante l’Antica Fiera di Portomaggiore a settembre», commenta Angelo Calura. Un fiume in piena, cultore dell’arte e appassionato in materia, contitolare della società agricola Calura di Calura Angelo e Paola S.S., associata a Confagricoltura Ferrara e tra i principali promotori di iniziative pubbliche di promozione dell’enogastronomia del territorio. «Portiamo avanti le ricette dei nostri genitori e nulla più: la “Salamina da sug ad Port” – racconta Angelo –.Sino a pochi anni fa, prima ancora che arrivassero modifiche normative più stringenti, allevavamo maiali, li acquistavamo in primavera e poi li portavamo all’ingrasso e li lavoravamo tra novembre e dicembre: arrivavano in peso anche fino a 300 chili».
Cambia il contesto ma la passione è rimasta intatta, così Angelo Calura ci accompagna idealmente nella ritualità, in un’usanza mai tramontata sebbene adattata alla modernità: «Oggi ci appoggiamo a un paio di strutture portanti della zona per l’acquisto dell’occorrente. La composizione delle varie parti del maiale impiegate dipende da che cosa desideriamo ottenere: una Salama da Sugo più predisposta per essere degustata al cucchiaio necessita dosi maggiori di goletta (o guanciale), di pancetta e di lingua, per esempio, carne insomma più grassa; se la scelta ricade invece su quella da taglio si tende allora ad aggiungere più coppone (o capocollo) per renderla più corposa».
Pure la selezione del vino rosso può fare la differenza, purché sia di qualità, senza esagerare in sperimentazioni troppo azzardate anche di liquori in taluni casi. «Ci sono coloro che la amano più piccante, altri più morbida. La linea da noi prescelta – ammette Calura con qualche precisazione sull’impiego della spalla – è sempre quella di rendere la Salama da Sugo degustabile a tutti, anche a un bambino, come usiamo dire, più digeribile e senza retrogusti, cercando di mantenerne, comunque, le sue peculiarità, in modo che lasci nel piatto anche quel buon sugo rosso: poi anche la dose, nel taglio di carne di fegato, può rendere più scura internamente la salama: basta poco, insomma, a renderla troppo corposa e amara».
«Portare avanti la tradizione locale, assieme a un gruppo di quattro-cinque amici – sottolinea l’associato a Confagricoltura – ci permette di macellare diversi maiali e produrre alcune centinaia di salamine da distribuire a famigliari, amici, conoscenti, nelle sagre e in manifestazioni analoghe». L’usanza del luogo induce a scegliere un dosaggio che consente di consumare l’insaccato al cucchiaio, già in grado di sprigionare tutto il suo sentore e di apprezzarne la morbidezza anche dopo quattro ore di cottura, alle consuete modalità. C’è attenzione e cura alla tracciabilità di filiera dei maiali acquistati, «allevati come una volta a dosi elevate di farina gialla: tra l’altro il prezzo del mangime oggi è alle stelle rispetto a quello delle materie prime», ricorda il norcino che annota ulteriormente: «Inutile negarlo, ma è comprovato che lo spazio di stagionatura ha la sua piccola influenza nella maturazione dell’insaccato, in quelle case di una volta, dove sono messe a penzoloni e lasciate asciugare, ma come è bello osservare ancora quella piccola sgocciolatura estiva! È il grasso che si scioglie, che si amalgama col vino. È ancora tutto fatto a mano, anche l’insaccatura, l’impasto ha bisogno di essere tastato valutando se occorre ancora un pizzico di sale o di vino in più». C’è un fiorente mercato, anche questo da valorizzare, del prodotto Igp, che permette buone degustazioni per chi volesse abbreviare i tempi di cottura, «ma ho notato un avvicinamento alla tradizione anche da parte dei più giovani, e sicuramente manifestazioni come l’Antica Fiera di Portomaggiore o la Sagra di Sandolo possono contribuire a consolidare quelle usanze tradizionali, nella produzione e nel consumo», ricorda infine Calura.
Secondo un’indagine di Confagricoltura Emilia Romagna l’acquisto annuo di carni suine, prosciutti e salami regionali, vale 5 miliardi mentre l’export supera i 600 milioni. I salumi Dop e Igp disegnano la mappa del territorio, con dieci eccellenze regionali. Il percorso produttivo artigianale certificato Igp indica per la salama da sugo una produzione di 28mila kg nel 2024. Per una linea che garantisce, per definizione, qualità e tracciabilità.
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