La Nuova Ferrara

In aula

Caso Willy: per i giudici i fratelli Bianchi hanno usato «furia cieca e nessun rimorso»

di Giusi Brega
Caso Willy: per i giudici i fratelli Bianchi hanno usato «furia cieca e nessun rimorso»

I magistrati sottolineano che non era «un calcio qualunque» ma un «violentissimo e proibito dalle stesse arti marziali

30 settembre 2022
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ROMA. «Una cieca furia». È così che i giudici della Corte d'Assise di Frosinone definiscono i colpi che hanno causato la morte di Willy Monteiro Duarte il 6 settembre 2020 a Colleferro, Roma. In 74 pagine, i magistrati hanno messo nero su bianco le motivazioni per quel pestaggio «a falange» che lo scorso 4 luglio ha portato alla condanna all'ergastolo per i fratelli Marco e Gabriele Bianchi, a 23 anni per Francesco Belleggia e a 21 per Mario Pincarelli.

Secondo quanto ricostruito, tutto ha avuto inizio da un calcio «fortissimo» sferrato «con la pianta del piede da Gabriele Bianchi al petto di Willy».

I magistrati sottolineano che non era «un calcio qualunque» ma un «violentissimo e proibito dalle stesse arti marziali». Dunque il giovane era consapevole di «sferrare contro il povero Willy un colpo che, in quanto vietato, era potenzialmente mortale».

Per di più «contro un ragazzo esile come il povero Willy». Quindi «pur non essendo emerso che quel colpo sia stato sferrato con il diretto proposito di uccidere» la Corte ritiene che, colpendolo, Gabriele Bianchi «abbia certamente accettato il rischio che Willy potesse morire».

Il giovane era «in grado di prevedere tale eventualità» anche «in ragione della sua preparazione specifica nelle arti marziali, della sua forza e della violenza impressa al colpo». Tutti gli imputati, comunque, «avevano la percezione del concreto rischio che attraverso la loro azione Willy potesse perdere la vita» ma nonostante questo «hanno continuato a picchiarlo. Quello che sottolineano i giudici è che i fratelli Bianchi che hanno comunque continuato a «negare con pervicacia» quanto era accaduto e hanno «dato prova di non aver compiuto alcuna revisione critica del loro operato che denoti l'inizio di un percorso di cambiamento e maturazione». Nessun pentimento, dunque per la «brutale uccisione di un giovane inerme».