La Nuova Ferrara

L’intervento

Migranti, quando il cinema anticipa la politica

Lorenzo Catania
Migranti, quando il cinema anticipa la politica

11 marzo 2023
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«La disperazione non può mai giustificare condizioni di viaggio che mettono in pericolo la vita dei propri figli». Con queste parole il ministro dell’Interno Matteo Piantedosi ha commentato il naufragio presso Crotone di uomini donne e bambini (alcuni fra questi diventati ora i nostri morti) provenienti da varie parti del mondo devastate da guerre, carestie, epidemie, terremoti, gravi lesioni dei diritti umani. Parole che denotano scarsa dimestichezza con la storia d’Italia dell’Otto-Novecento, quando gli abitanti del Belpaese erano fra i protagonisti dell’emigrazione.

Una storia dimenticata o rimossa da troppi italiani e dal nostro ministro, utile da studiare e meditare per avere una percezione più adeguata della realtà contemporanea. Suggerisco pertanto la visione di un vecchio ma attuale film di Pietro Germi, “Il cammino della speranza” (1950), che racconta l’odissea di un gruppo di zolfatari di uno sperduto paesino siciliano, i quali, disperati e senza lavoro in seguito alla chiusura della miniera, accettano la proposta di un losco e sconosciuto individuo, Ciccio, che promette di farli emigrare clandestinamente in Francia, percepita come terra del benessere, dietro il compenso di venti mila lire a persona. Arrivati a Roma, però, Ciccio si dilegua. Da qui hanno inizio per i migranti - percepiti in patria come stranieri, abitanti di un paese diverso e lontano per lingua, cultura e temperamento dagli italiani del centro nord - diverse disavventure, fino a quando riescono a raggiungere la sospirata frontiera e approdare in Francia.

All’epoca Germi litigò con gli sceneggiatori Federico Fellini e Tullio Pinelli che disapprovavano il lieto fine del film. Coinvolto nelle disavventure dei suoi personaggi, il regista sentì il bisogno di non abbandonare al loro infausto destino il gruppo dei disperati siciliani guidati da Saro Cammarata (una sorta di reincarnazione del virgiliano Enea). E così, trasgredendo alla dimensione realistica che caratterizzava fino a quel momento la trama della pellicola, nel finale “Il cammino della speranza” virava verso la fiaba. Il capopattuglia dei doganieri francesi si commuoveva al sorriso del figlioletto di Saro e lasciava passare i poveri e stremati migranti clandestini. Spiazzati dal finale “buonista” e dalla voce fuori campo del regista, un po’ enfatica, ma nella sostanza sincera, che rimarcava il suo punto di vista utopistico («...i confini sono tracciati sulle carte, ma sulla Terra, come Dio la fece non ci sono confini su questa Terra»), i critici accusarono Germi per avere ceduto alle convenzioni dello spettacolo cinematografico. Eppure, rivisto oggi, quel finale ci pare perfetto e del tutto umano. Conferma il sospetto che il cinema spesso sia più lungimirante della politica.

Lorenzo Catania