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Maranza, a Ferrara le scuole non ci stanno: «Termine che semplifica il disagio»

Nicolas Stochino
Maranza, a Ferrara le scuole non ci stanno: «Termine che semplifica il disagio»

I dirigenti scolastici respingono: «Nome passeggero ma il problema è reale». Comportamenti da bulli aumentati in maniera esponenziale dopo il Covid

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Ferrara “Maranza” è la parola del momento. Rimbalza nei talk show, sui social e persino nelle aule dei consigli comunali. Ma nelle scuole ferraresi – dove i ragazzi vivono e crescono ogni giorno – quel termine non trova casa. Lo confermano, con voci diverse ma unite, i dirigenti degli istituti superiori della città e della provincia: «È un’etichetta mediatica, abusata dalla politica e fuorviante. Il disagio giovanile è un tema serio, ma non si affronta con slogan».

Francesco Borciani, dirigente dell’Iti Copernico-Carpeggiani, invita alla prudenza: «Non abbiamo identificato una “situazione maranza” nel nostro istituto. L’idea è diventata una sorta di identificazione sociale, ma rischia di ridurre tutto a una caricatura. I problemi esistono, e sono quelli che da anni vediamo negli studenti più fragili o emarginati. Li affrontiamo con supporto psicologico, progetti di cittadinanza e collaborazione con Ausl, forze dell’ordine e associazioni».

Per Borciani, molti comportamenti ritenuti “da maranza” nascono dall’emulazione: «Sono atteggiamenti che si autoriproducono, copiati dai social e portati nella realtà. Ma servono ascolto e partecipazione, non solo sanzioni. Già da tempo sperimentiamo percorsi di reinserimento con lavori socialmente utili per chi viene sospeso, e i risultati sono positivi. La sfida è far capire ai ragazzi che seguire il gruppo - se esso porta a comportamenti sbagliati - non deve essere l’unica forma di socialità».

Un punto di vista condiviso anche da Emilia Dimitri, dirigente dell’Istituto Bachelet: «Non siamo stati travolti da questa tematica, nonostante la nostra scuola abbia una grande presenza di studenti stranieri. Sono gli stessi studenti a essere molto motivati nelle attività scolastiche. Le difficoltà che emergono riguardano piuttosto il bullismo e cyberbullismo e il disagio adolescenziale in senso ampio. A tal riguardo, nel prossimo consiglio d’istituto definiremo un nuovo codice di comportamento interno. Interveniamo già quotidianamente, anche su episodi embrionali, in quanto oggi i ragazzi esprimono con maggiore sensibilità il proprio malessere».

«Dalle mie parti si chiamavano tamarri», incalza ironico il preside del liceo Carducci, Luca Maiorano. Poi torna serio: «Il fenomeno esiste, ma Ferrara è attenta. Le scuole, la prefettura e le istituzioni lavorano insieme con protocolli condivisi. Da cittadino e padre, sono abbastanza tranquillo nel dire che il fenomeno c’è ma che abbiamo anche gli strumenti per relazionarci e venire incontro alle esigenze dei giovani. La parola chiave è “accompagnamento”: serve dialogo costante con i ragazzi e attenzione al mondo fuori dalla scuola, dove spesso nascono certi comportamenti. I social amplificano modelli distorti: il nostro compito è aiutare i giovani a mettere le cose nella giusta prospettiva».

Da Cento, la dirigente dell’Isit Bassi Burgatti, Annamaria Barone Freddo, amplia la riflessione: «Più che “maranza”, parlerei di una sottocultura. È il sintomo di un’ineducazione diffusa, che dopo il Covid è peggiorata. La pandemia ha lasciato un vuoto di regole, rispetto e relazioni. Nella mia scuola non ci sono casi specifici, ma il disagio adolescenziale è innegabile».

Barone Freddo sottolinea l’importanza di progetti come il Mep – la simulazione del Parlamento Europeo – per sviluppare pensiero critico e senso civico: «Aiutare i ragazzi a ragionare è la via più efficace. Spesso imitano comportamenti senza comprenderli. Le cause sono complesse: famiglie disorientate, social come unica bussola, mancanza di ascolto. La società intera dovrebbe interrogarsi, non solo la scuola».

Il termine “maranza”, insomma, non descrive una categoria di studenti ma fotografa un clima culturale, un disagio collettivo. Dietro le felpe oversize e le pose spavalde c’è un bisogno di riconoscimento, che il sistema educativo prova a intercettare. Le scuole ferraresi lo fanno con progetti di inclusione, laboratori di cittadinanza e reti di collaborazione che uniscono insegnanti, psicologi e famiglie.

Ma proprio sulle famiglie si gioca, secondo tutti i dirigenti, la partita decisiva. «L’inclusione non deve essere solo una parola – conclude Barone Freddo – ma un atto quotidiano. E questo richiede la collaborazione di tutti». Nessuno, dunque, nega che esistano comportamenti problematici o episodi di disagio. Ma ridurli a un’etichetta generica – “maranza” – significa chiudere gli occhi di fronte alla complessità. La scuola, al contrario, cerca di tenerli aperti.