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PERDENTE E ORA ANCHE SENZA PESO

di STEFANO TAMBURINI

di STEFANO TAMBURINI Sì, certo, è un disastro. Ma con la stagione che è appena poco oltre l’aurora, la tempesta che ha investito la Ferrari potrebbe sembrare ingiustificata. Potrebbe, perché le cifre...

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di STEFANO TAMBURINI

Sì, certo, è un disastro. Ma con la stagione che è appena poco oltre l’aurora, la tempesta che ha investito la Ferrari potrebbe sembrare ingiustificata. Potrebbe, perché le cifre ci raccontano di sei annnate senza titoli fra i piloti e di cinque fra i costruttori. Tante ma certo non troppe se confrontate con periodi più bui, come ad esempio il pozzo nero dei 21 anni senza trionfi fra l’iride di Jody Scheckter nel 1979 e quella di Michael Schumacher nel 2000. Ma non è solo una crisi di risultati quella delle Rosse. C’è molto di peggio: c’è la consapevolezza – non ostentata, anzi negata – di una spaventosa perdita di peso politico di chi una volta dettava legge nelle stanze che contano. Non si era mai visto un presidente della Ferrari (Luca Cordero di Montezemolo) bussare alla porta della Federazione (guidata da Jean Todt, peraltro ex dipendente di Maranello) ed essere respinto con perdite di fronte alle richieste di modifiche ai regolamenti a stagione in corso. Non si era mai visto un presidente della Ferrari che veniva rimandato a casa con parole secche: «Questa non è una repubblica delle banane». E non si era mai vista una scuderia che ha subìto anno dopo anno regolamenti sempre più penalizzanti, con il no ai test, i motori ibridi più affini a tecnologie maggiormente sviluppate da altri costruttori.

Il realtà, alla casa madre Fiat-Chrysler – dove ormai si prendono tutte le decisioni che contano – potevano star buoni finché si trattava di poter dire che in fondo in fondo si perde da un fabbricante di bibite in lattina che si è fatto prestare un motore e ha fatto qualche “furbizia” con gli alettoni. Ma non adesso che si tratta di prendere la paga – e che paga – da un diretto concorrente (un competitor, dicono quelli che ne sanno e soprattutto quelli che si atteggiano) come la Mercedes. Ecco dunque che salta la testa più in vista, quella di Stefano Domenicali, il capo della Gestione sportiva. Ora son tutti lì a rendergli l’onore delle armi e a far capire che era troppo buono. Peggio che mai, se era troppo buono (e quindi non adatto) la colpa dovrebbe essere di chi lo ha scelto e sostenuto, che è ancora lì al suo posto. E sono ancora lì quelli in fila pronti a dar consigli, anche chi come Flavio Briatore non può più dare il cattivo esempio. L’unica certezza adesso è che sono finiti gli alibi. Per tutti.

@s__tamburini

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