La Nuova Ferrara

Sport

L’annata di Pulidori «Questa Mobyt non ha mai mentito»

di Marco Nagliati
L’annata di Pulidori «Questa Mobyt non ha mai mentito»

Basket Dna Silver. L’intensa stagione raccontata dal diesse Il ritorno a casa, il club, i rapporti: nessuno s’è tirato indietro

29 maggio 2014
4 MINUTI DI LETTURA





FERRARA. Ci sono due bambini, timidi. Marcati a vista dalla mamma. Dopo un po’ arrivano Treister e Pavlovic, i due americani delle Aquile infortunati. In casa Pallacanestro Ferrara scappa qualche amara ironia quando spuntano le stampelle. Sul parquet del PalaMit2B i ragazzi della Mobyt stanno riprendendo la via del campo. Sorridenti. Leggeri. L’eliminazione dal playoff sta diventando storia e non più dispiacere. Uno spruzzo di biancorosso invade il campo visivo: sono le giocatrici della Bonfiglioli. Va in scena l’inedita partita di calcio a cinque tra la Mobyt e la Pff. Un match in cui le svirgolate di Jennings fanno il paio alla grinta di Chiara Mini. Le parate di Infanti vanno in coppia con gli interventi della Coraducci. Pomeriggio di fine annata agonistica, in cui il senso di una stagione “bella” prende il posto al dispiacere che si sia ai titoli di coda. Il clima è di chi è andato oltre i propri limiti e lo sa. Il diesse Andrea Pulidori accompagna i due bambini di cui sopra: a fine “gara quattro” con Mantova non erano riusciti ad avere l’autografo dei giocatori. Facce tristi. Pulidori voleva consolarli: la prossima volta... “Ma quando ci sarà la prossima volta?”. Okay, ci vediamo al campo. Promessa mantenuta. Insomma, qui le preoccupazioni e la frasi del presidente Bulgarelli non entrano. Qui c’è una piccola oasi.

Pulidori, ci racconta le sue emozioni?

«Le cose vanno divise. Intanto la società: giovane. A Ferrara c’è una grande storia cestistica, ma questa società si affacciava all’A2 o a come volete chiamare questo torneo con gli stranieri, come una novità. Lo staff invece nella quasi totalità aveva vissuto questa storia. Il presidente ha messo entusiasmo e risorse: non era scontato che intervenisse sul mercato dopo gli infortuni».

Era un peccato gettare a mare le possibilità che si intravedevano.

«Le prestazioni in campo ci hanno fatto alzare l’asticella. Eravamo partiti per salvarci, ingaggiando rookie per questioni di budget: la stagione è stata eccellente. È nata una chimica molto buona».

Gli infortuni hanno lasciato un grande interrogativo.

«Già, che stagione sarebbe stata senza i tanti guai?».

Domenica 15 dicembre: la Mobyt aveva appena vinto la battaglia con Casalpusterlengo, ma s’era fatto male anche Infanti. In sala stampa visi di chi l’aveva scampata bella. Lei, faccia scura, sussurrò: “Ci siamo giocati il campionato”.

«Avevamo appena perso Casadei, ed ecco il ko di Infanti. Mi rendevo conto della gravità: quando tocchi certi meccanismi non tutto torna come prima».

Altro flash: final six di Coppa...

«Lì ho visto la squadra fare due prestazioni molto buone contro big della Gold. Voleva dire che i ragazzi avevano qualità, che dopo un mese Amici si stava inserendo. Ho capito che il periodo buio stava passando. Il primo posto era andato, ma in cuor mio credevo in un buon finale di stagione. Poi torniamo sempre lì: se ci fosse stato Benfatto?».

Per lei primo anno in trincea dopo una vita nella femminile.

«Primo anno nella maschile e a casa mia. È tanto gratificante, pure difficile da gestire. Se fai bene è quasi scontato, se le cose vanno male scattano le invidie».

Era rimasto fuori Ferrara per dodici anni.

«Il mio merito non credo sia stato granché. Ho lavorato in sinergia con Furlani assecondando il budget. Quando vinci non c’è bisogno di niente; quando le cose non girano ho usato l’esperienza maturata in tanti anni di serie A femminile. Le dinamiche non cambiano».

Lei e Furlani: così schietti e diretti. Così in sintonia.

«Discutiamo spesso. Sonore discussioni - e scappa un sorriso -; ma al di là del modo di comunicare c’è stima reciproca. Tutti e due sappiamo che non ci sono “secondi” o “terzi” fini: nessuno vuole salvare se stesso e scaricare colpe. Tutti e due lavoriamo con onestà intellettuale per fare la cosa migliore per società e squadra».

Nessuna scusa ed andare avanti.

«Anche i giocatori erano così: affiatati. Non era difficile vederli in centro passeggiare assieme. A volte nelle squadre ci sono professionisti che si rispettano, però non si frequentano. Qui abbiamo avuto un vero gruppo anche fuori: un aspetto che aiuta nelle difficoltà».

Mays e Jennings?

«Hanno avuto alti e bassi, ma non possiamo dire di aver preso due Usa scarsi. Fattore non secondario: sono due ottimi ragazzi. Non dimentichiamo che erano al debutto da professionisti. Non mi prendo meriti per averli scelti: ho un amico negli Stati Uniti (Luca Barattoni; ndr) che ci ha aiutato a fare la cernita sui mille nomi proposti».

Cos’ha trovato nella Pallacanestro Ferrara?

«Società seria. Che s’è costruita un’immagine importante: rispetta gli impegni presi. Non è poco e aiuta nel fare mercato».

E lei cosa ha aggiunto?

«Negli anni non ho mai mentito su niente. Sempre corretto e così tutti si fidano di noi».

©RIPRODUZIONE RISERVATA