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Ferrara, “Il Baffo” e la vita fatta a spicchi: «Ora soffro, ma che avventura»

Marco Nagliati
Ferrara, “Il Baffo” e la vita fatta a spicchi: «Ora soffro, ma che avventura»

Dal 1981 tifoso attivo, poi volontario tuttofare, fino a diventare il “papà” di tutti: «Mai saltato un giorno al palasport. La multa da 2 euro? Storia di beneficenza»

07 marzo 2023
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Ferrara Nel salotto di casa Mandosso c’è uno splendido parquet listellato, legno chiaro e scuro alternato. Si stagliano ai lati due canestri ad altezza 3,05 metri. Niente divani, bensì gradinate ampie e poltroncine blu e bianche. Poi c’è un ufficio, uno scrigno per chi ne sa apprezzare il valore. Un pallone da pallacanestro old style marrone scuro su un mobiletto, incorniciate alcune storiche maglie di giocatori estensi. Una scrivania di vetro robusto, qualche seggiola. A destra una riproduzione di via delle Volte a tutta parete. Si respira Ferrara. Si annusa basket. Il salotto di casa Mandosso, universalmente “Il Baffo”, è il palasport. Lui è qui anche oggi, c’era ieri. Ci sarà domani. Nonostante la terribile fine del Basket Kleb: momentanea, perché l’ottimismo è il sale della vita e qui, anche in questi momenti da groppo in gola, non ci si vuole piangere troppo addosso.

Claudio farà 79 anni a maggio. È una delle istituzioni della palla a spicchi cittadina. Non ha ruolo, semplicemente è tutto: magazziniere, amico, fattorino, custode in pectore. Serba confidenze e storie. Ci accoglie nel suo universo per raccontare una vita a “spicchi” in questo fine inverno malinconico, durante il quale il presidente Miozzi ha tranciato il filo del gioco. Il Kleb s’è ritirato dal campionato, Claudio Mandosso racconta questa avventura che è – per ora – finita su un binario morto: «Mi è caduto il mondo addosso».

Dunque, “Il Baffo”…

«Ho sempre avuto i baffi, sin dal mio matrimonio. Folti. Il nomignolo è nato così: baffo per tutti».

L’amore per il basket, invece?

«Curiosamente per “colpa” del calcio. Vado allo stadio a vedere uno Spal-Torino che valeva la salvezza per entrambe: un punto e sarebbe stata festa. Beh, nessuna squadra superava la metà campo: una noia mortale. Pensai: “E devo spendere soldi per questo?”. Due giorni dopo capito per caso a Castellanza e nel palasport si gioca Ignis Varese-Simmenthal Milano».

La gara tra le più iconiche dell’Italbasket di allora...

«Capito perché mi appassionai a questo sport?».

Lei, dirigente d’azienda, entra in pista nel 1981.

«Sì, al PalaPalestre a vedere le partite della MotoMalaguti di coach Calamai. Ero tifoso, appassionato. Fondammo il club La Rocchetta: organizzavamo trasferte, coreografie, cene coi giocatori».

Poi?

«Nel ’97 vado in pensione, non avevo nulla da fare. Vado da Montini, che era il giemme, e gli chiedo semmai avesse bisogno di qualcuno che poteva dare una mano. Mi dice sì: da allora non ho mai perso un giorno al palasport».

Amico, confidente, papà… Quale il suo ruolo?

«Ho fatto di tutto. Ho aiutato tanti giocatori, in amicizia. E non ho mai fatto uscire nulla di quanto accadeva nello spogliatoio. Sì, dai: un papà. Il presidente D’Auria me l’ha anche detto: “Tu sei proprio il mio papà”. Per anni è stato tutto volontariato, passione pura. Dopo, invece, qualche rimborso è anche arrivato».

“Il Baffo” e quei 2 euro di multa…

«È nato tutto nel 2014. Avevamo una squadra di scapestrati: lasciavano in giro tutto. Bottigliette, asciugamani, scarpe, magliette… Io a raccogliere per mettere in ordine. Un giorno mi dico: “Se li multassi a ogni dimenticanza? Magari diventano più disciplinati. I due euro sono nati così. D’accordo con Mascellani, a fine stagione gli comunicavo la cifra raccolta, il presidente raddoppiava e andava tutto in beneficenza».

Il progetto s’è poi allargato...

«Massì, dopo per tifosi, addetti ai lavori e dirigenti ho creato la tessera da acquistare. Una stagione ho raccolto 2.700 euro. E sentite questa...».

Avanti…

«Un giorno sono a Bologna per una partita della Virtus nella quale giocava il nostro ex Allan Ray. Durante il riscaldamento mi vede, mi abbraccia e poi corre nello spogliatoio. Torna con 2 euro, sorride e dice: “La multa del Baffo”».

Niente male...

«Emozionante, altroché. A volte vedevo qualcuno dopo un po’ di tempo e gli sussurravo: “È molto che non mi dai due euro?”. L’orgoglio è che nessuno ha mai messo in dubbio la mia onestà».

Si narra che gli atleti statunitensi a volte vivessero di bizzarrie…

«Diciamo che Hall e Roderick, ad esempio, erano tipini che te li raccomando. Ma alla fine con tutti, tra battute e chiacchiere, i rapporti sono stati buoni. Con alcuni sono ancora in contatto. Collins mi ha appena scritto avendo saputo della chiusura. Però non posso dimenticare Farabello, col quale siamo ancora in contatto. E naturalmente Ebeling: ha dato tanto a Ferrara».

I momenti indimenticabili?

«La notte di Fabriano, quella della promozione in A (2008, ndr): piansi a più non posso. Io soffro le partite, sono pure scaramantico: a volte sono là, poi mi sposto qua perché porta meglio. Poi no, cambio... Tornando a Fabriano: a fine partita ero così emozionato da non riuscire ad alzarmi dalla panchina. Volevo correre verso la gradinata piena di nostri tifosi e non ci riuscivo».

Lacrime amare?

«Un nome: Carchia. Quella tripla all’ultimo secondo playoff che permise a Cento di eliminarci. Rimasi per 20 minuti attonito in gradinata, in seguito passai due giorni al mare col telefonino spento. È stata la botta peggiore. Segue quella di Biella, la sconfitta che ci riportò in A2. Per l’unica volta ho pensato che un giocatore (Spinelli, ndr) aveva sbagliato un tiro, diciamo, di troppo. Ricordo il malore a fine partita di Valli».

I coach, parliamone…

«Ce ne sono stati alcuni che appena mettevano piede in campo erano intransigenti, seri e guai a fiatare: Valli, Dalmonte, Furlani… Poi, appena finito l’allenamento, erano battute e risate. Ricordo Calamai e la sua mitica sciarpa: la toglieva raramente, quando accadeva mi diceva di tenerla d’occhio e guai a me. Vorrei però spendere due parole per Leka: gli ho visto fare di tutto per società e squadra. Molto più di un allenatore: ci ha messo l’anima facendo anche il dirigente, il diesse...».

I presidenti?

«Scopa era, come dire, umano. Una persona splendida, un brav’uomo. Mascellani più burbero, ma ci sapeva fare. D’Auria ha certamente fatto errori, però ci ha messo il cuore. Con tutto e con tutti. È stato un presidente tifoso».

“Baffo”, una vita per il basket: ne è valsa la pena?

«Mi sono divertito, appassionato, dando tutto me stesso per lo sport che amo. Ho vissuto dal di dentro con un ruolo attivo».

E adesso cosa prova? (Silenzio… lungo silenzio…)

«Amarezza, a dir poco: nessuno se l’aspettava. Dall’oggi al domani. Poi così, far finire tutto con un messaggio WhatsApp. Dai… Questo gruppo si sbatteva, gente esemplare. Vorrei ricordare chi era qui tutti i giorni, da mattina presto a sera, che si vincesse o perdesse: i coach Maione e Carretto, Filippo Tolu, Tanja Cristofori, Spiro Leka, Leonardo Burchi, Matteo Bellonzi… Loro e il Sesto Uomo. Grazie».l

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