Spal in caduta libera: i dieci motivi del flop
Proprietà assente, scelte sbagliate, preparazione e infortuni. Mancano i grandi leader e la squadra è scollata dalla città
Ferrara I posticipi vinti da Lucchese e Ascoli hanno certificato lo sprofondo in classifica. Ma come si è arrivati a questo punto? Com’è possibile che nella seconda parte di febbraio la Spal sia aggrappata a uno scontro diretto, che sa di ultima chiamata, contro quel Campobasso che lo scorso anno era in D? Lo scenario è nero e i motivi che hanno portato a tutto ciò non possono soltanto riguardare Joe Tacopina - che comunque ricopre il posto principale nella vetta delle responsabilità -, ma nel tilt di questa Spal entrano anche direttori, allenatori e giocatori.
La programmazione. Assente, o quasi sempre non azzeccata. La bella Spal che aveva concluso la scorsa stagione sotto la guida di Mimmo Di Carlo avrebbe meritato la strada della continuità tecnica e di rosa portante. Il problema di questi anni non è stato nemmeno il “navigare a vista”, ma l’incapacità di tracciare una rotta (vincente) e seguirla.
Difficoltà calciomercato. Sono anni che i direttori tecnici/sportivi del club hanno come primo indirizzo il dover cedere, liberare spazi, caselle e snellire i pesanti conti ereditati (ma anche generati). La questione ingressi, dunque, diventa sempre complessa. E anche l’ultimo deludente mercato di gennaio ne è la controprova. Non arrivano mai prime scelte, gli obiettivi anche quando individuati non giungono alla chiusura (per una questione di costi) e si è costretti a chiamare addirittura in causa gli svincolati.
Assenza fisica della proprietà. Il presidente Tacopina, sempre più immerso nei suoi affari legali e sempre più disinnamorato del progetto Spal, ha delegato la gestione quotidiana ai direttori Carra e Casella. L’avvocato newyorkese, e il suo socio Marcello Follano, non mettono piede a Ferrara da tanti (troppi) mesi. Assenze che non possono passare inosservate, soprattutto a chi vive quotidianamente l’ambiente di via Copparo.
Limiti atletici. Non solo una questione di testa, ma anche di gamba. Questa Spal non va. Il principale imputato è Dossena e la sua metodologia. Ora con Baldini e il nuovo staff si è intrapreso un percorso di ricondizionamento. Vedremo.
Assenza di leader. Escludiamo Antenucci, l’unico in reale possesso di uno spessore nemmeno avvicinabile dai compagni di squadra. Eppure la Spal è una squadra esperta. Bassoli ha fatto cose buone prima del crollo attuale, Mignanelli idem. Il restante della truppa, non pervenuto. Uno spogliatoio che non ha davvero mai dimostrato di vivere una missione per conto della Spal.
Infortuni. Un po’ come l’anno scorso, anche questo campionato è stato condizionato da costanti cadute e ricadute. Spesso i giocatori giungono a Ferrara privi di una preparazione fisica adeguata ed è dunque più facile che poi siano costretti a soste ai box.
Rosa costosa. Si è tagliato il tagliabile, ma il monte ingaggi resta tra i più alti dell’intera serie C. La Spal spende più delle primatiste della classifica, ma si trova in zona playout. Avvilente.
No feeling. Le prove d’amore dei tifosi continuano a manifestarsi al “Mazza” e durante le trasferte, ma senza ricevere soddisfazioni in cambio. La frattura tra il popolo e la società è insanabile. Il credito, tuttavia, è finito anche nei confronti dei giocatori, avulsi dalla vita cittadina e dal contatto con il popolo spallino. E una stagione di allenamenti a porte chiuse non può che accentuare l’isolamento del gruppo rispetto al contesto.
Ambizioni elevate. Nonché differenti dalle reali possibilità. Certo, la Spal non sarà stata attrezzata per ricoprire il ruolo di schiacciasassi, questo è sicuro, ma ha disatteso anche le più tranquille aspettative di gravitare in una zona di classifica diversa da quella odierna.
Vivere le situazioni. Letture sbagliate, a causa di una qualità generale decisamente limitata. In ogni reparto, in ogni fase di gioco, ma anche nelle scelte di formazioni e mosse a partita in corso.
© RIPRODUZIONE RISERVATA