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L’intervista

«I giovani non lo meritavano». Il dolore senza fine di Massimiliano De Gregorio per la Spal

Alessio Duatti
«I giovani non lo meritavano». Il dolore senza fine di Massimiliano De Gregorio per la Spal

Parla il responsabile di un vivaio che è stato fiore all’occhiello. Per ultima, la vittoria dello scudetto da parte dell’under 16: «Giorni difficili per le emozioni condivise con i ragazzi. Mi è passato in testa tutto il percorso fatto in via Copparo»

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Ferrara In questi giorni riuscire a prendere la linea con Massimiliano De Gregorio è compiere una specie di miracolo. Il responsabile del settore giovanile biancazzurro sta vivendo letteralmente al telefono, parlando con famiglie, agenti e con tutto ciò che ruota attorno al mondo Spal e che è ormai già stato cancellato dalle “gesta” di Joe Tacopina. De Gregorio (classe 1976) è uno di quelli che il recentissimo scudetto under 16 se lo cucirà simbolicamente addosso, come traguardo finale di un’esperienza lunga 12 anni con la “sua” Spal.

Max, anzi tutto partiamo dalle emozioni di Viterbo. «Tra l’under 17 e l’under 16 sono stati giorni infernali e difficili da vivere, non tanto per le partite, ma proprio per le emozioni condivise con i ragazzi in questa situazione. Mi è passato in testa tutto il percorso fatto in via Copparo, perché i giovani delle nostre due selezioni li ho visti crescere dall’attività di base. Non ho mai visto così tanta gente piangere, le emozioni sono state troppe. Abbiamo vinto, ma chiunque, anche i tecnici federali, erano disperati, perché capivano la situazione. I ragazzi hanno capito che è forzatamente finito un percorso assieme a compagni e amici. Noi, ogni giorno in questi anni, abbiamo provato a farli stare al meglio».

La vittoria contro il Padova e lo scudetto è stato un segno del destino, un bagliore nel momento più buio? «Me l’hanno detto in tanti, ma non sono un fatalista. Devo però dire che ci siamo meritati che gli episodi venissero dalla nostra parte. Qualcosa di giusto, per i ragazzi, doveva esserci. Sentivo che questi gruppi avrebbero meritato qualcosa. E quando parlo di gruppi non intendo solo gli atleti, ma tutte le persone che hanno lavorato per il vivaio Spal e che si sono unite in quest’ultimo periodo come mai prima. Questa è stata una sensazione speciale».

La dedica, dunque, va a loro? «Sì, solo a loro. Per molti è finito tutto, non c’è un piano B e ne siamo consapevoli. Penso a tutti, da chi ha lavorato in lavanderia, al convitto, nei magazzini, gli autisti, insomma chiunque. Non volevo essere banale, ma il messaggio che ho voluto scrivere nei vari gruppi dopo questo successo è stato “avete vinto tutti”. Perché ad aver reso speciale l’ambiente del “G.B. Fabbri” in questi anni è chi ha dedicato anima e cuore quotidianamente al settore giovanile della Spal. Il grosso dispiacere è che davvero non tornerà più nulla di tutto ciò».

Quest’anno ci risulta sia stata molto dura in termini di gestione per voi del vivaio. «Vero. Per il primo anno siamo stati una società dentro la società. Sto parlando di aspetti umani e di rapporti, non di questioni tecniche o di qualità professionali, che non giudico. Di quest’anno non conserverò alcun ricordo. Mentre con le persone che son state qui in passato è ancora gratificante evidenziare ciò che era stato. Persino Paolo Danzè (responsabile dell’area tecnica in pectore, ma che non ha mai iniziato il proprio incarico, poi rimpiazzato da Alex Casella, ndr), che è stato qui solo un paio di giorni, si è complimentato e abbiamo fatto due chiacchiere sul momento. Con Vagnati e Ludergnani ci sentiamo tantissimo. Fusco è addirittura venuto a Viterbo a vedersi la partita ed è stato in compagnia dei magazzinieri e degli autisti».

Quello striscione “Siete voi la Spal” cosa significa per lei? «È il massimo esempio di cosa sia la Spal per Ferrara. La Curva Ovest ci ha dato grandi segni di vicinanza e grandi dimostrazioni. È il bello di questa città. Per i ragazzini l’altro giorno è stato quel qualcosa in più. Sapevamo di avere tanto affetto alle spalle e sono spuntate motivazioni extra».

Mister Eros Schiavon? «Una persona dal valore umano superiore alla media. La sua forza è stata l’umiltà posta in ogni situazione, con chiunque. È un giovane allenatore, ha smesso di giocare solo due anni fa, ma vuole migliorarsi e ce la sta mettendo tutta. Gli aspetti tecnici, poi, si completano negli anni. Ma, per valori, la sua è una figura alla quale bisognerà per forza fare riferimento. Ha vinto sul campo e stravinto come uomo».

Veniamo alle note dolenti. Si è reso conto di quanto successo attorno al 6 giugno? «Il dolore è tutt’oggi indescrivibile. L’altro giorno abbiamo svuotato gli uffici con enorme tristezza. È stato un fulmine a ciel sereno, davvero nessuno se l’aspettava. Anzi, vi dirò che, per il primo anno di gestione Tacopina, all’interno la sensazione era quella di una stabilità economica mai percepita prima».

Quest’anno ha avuto contatti con la proprietà? «Follano l’ho solo incrociato un paio di volte sulle scale del Centro, “buongiorno” e nulla più. Tacopina mi ha scritto qualche messaggio di sostegno dopo alcune partite del vivaio e stop».

Cosa succederà ai tanti baby talenti? «Il rammarico maggiore è l’impossibilità di poter proseguire il loro percorso alla Spal. Mi tengo l’orgoglio di aver fatto il massimo per loro, per la formazione e per la crescita quotidiana. Sono disperati, così come i tecnici e gli istruttori, che non possono più avere una collocazione. Il dispiacere è totale e non lo si può esprimere a parole. Chi riuscirà a mettersi in gioco altrove, dovrà essere bravo a dar seguito alle stupende cose fatte qui».

C’è qualche nome che a suo avviso “arriverà” nei piani alti del calcio? «Sì, ma non lo faccio, perché ora come ora sarebbe ancora più brutto. Ci sono profili che possono continuare a fare un percorso importante. Già negli ultimi anni tanti avevano deciso di rimanere con noi precludendosi opportunità nazionali e dovendosi giocare solo le rappresentative della Lega Pro».

La Spal del futuro dovrà ripartire dal territorio. «Serve un progetto che dia alle famiglie l’idea di voler ricostruire. Nel nostro inizio andavamo casa per casa. Qui, se risolte le questioni legate al centro sportivo, c’è un luogo già ideale per riprendere e andranno scelte le persone giuste. Far crescere i ragazzi in un panorama dilettantistico è tutt’altra cosa. Ma la formazione si può e si deve gestire. Di ragazzi bravi a Ferrara ne abbiamo, fidatevi».

Curiosità: c’è mai stata la possibilità che De Gregorio diventasse direttore dell’area tecnica per la prima squadra? «No e in tutta onestà non l’ho mai sognato. Avrei dato la mia massima disponibilità per aiutare o collaborare, come poi è sempre stato fatto. Ma non mi vedo a seguire i grandi, perché non sono mai stato legato al risultato. Non credo di poter vivere la settimana pensando alla partita e quindi all’esito. Il mio percorso giovanile è fatto di formazione come focus prioritario e son sempre stato concentrato su quello. Poi, se si vince, tanto meglio. Forse sarà un mio limite, ma vi dico solo che l’altro giorno al momento dei rigori sono uscito dallo stadio e tramite una fessura guardavo solo le reazioni dei nostri giocatori schierati a metà campo durante la lotteria».

Torino e Cesena, sono due possibilità concrete per il suo futuro? «A oggi sono arrivati attestati di stima e c’è la voglia di sentirsi, ma nulla è ancora deciso e non sono arrivate offerte. Penso sempre che nel calcio sia più importante avere competenze che conoscenze. Poi, è ovvio che ho grande stima e grandi rapporti sia con Ludergnani e Vagnati sia con Fusco. Ancora non si è parlato di nulla, altrimenti avrei già un lavoro che adesso virtualmente non ho più. Se verranno fatte valutazioni, probabilmente molte di queste saranno improntate sul tipo di ruolo». 

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