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L’intervista

Sergio Pellissier: «Ci sono già passato. Spal, servono amore e serietà»

Alessio Duatti
Sergio Pellissier: «Ci sono già passato. Spal, servono amore e serietà»

Il presidente del Chievo Verona rinato, e anche ex biancazzurro all’alba della sua carriera, e i consigli di ripresa: «Ho parlato con Antenucci, forza»

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Ferrara Sergio Pellissier ha indossato per una vita la maglia del Chievo Verona, ma il passaggio alla Spal all’alba del nuovo millennio ha generato quel sentimento d’affetto che ancor oggi il bomber aostano nutre nei confronti dei colori biancazzurri. Negli ultimi anni, anche il classe 1979 ha avuto a che fare con difficili vicende extracampo: la ripartenza della Clivense dalla Terza categoria, la riappropriazione del marchio dopo anni di battaglie e l’attualità del suo Chievo (oggi Pellissier è presidente onorario e direttore sportivo) che milita nella serie D.

Sergio, ci dà il suo primo pensiero rispetto a quanto successo a Ferrara?

«Una grande delusione. Con mio suocero (Pellissier aveva conosciuto sua moglie proprio a Ferrara; ndr) abbiamo seguito le due partite del playout ed eravamo felici per la Spal pensando che il brutto fosse passato. Poi è arrivata questa mazzata tremenda. Sono cose che non dovrebbero mai accadere. Sono molto dispiaciuto perché di mezzo c’è andata una realtà come la Spal. Non è giusto che una tifoseria e una piazza del genere abbiano perso la propria squadra tra i professionisti».

Stiamo parlando di 12 anni gettati alle ortiche.

«Negli ultimi anni diversi errori sono stati commessi ed è fuori discussione che la problematica più grande sia stata quella dei costi elevati, dati in particolar modo dagli stipendi. Non si è snellito al punto giusto ed evidentemente le entrate non compensassero le tante spese. A quel punto, se con la gestione non si è capaci di raggiungere certi obiettivi, occorre solo tirar fuori i soldi: questi però prima o poi finiscono o ci si stanca di metterli. Già nelle ultime stagioni si arrivava sempre alle ultime ore dell’iscrizione, sul filo del rasoio e tali avvisaglie non sono mai state un bel vedere».

Come ripartire?

«Sopra ogni cosa: dalle persone. Che credano nel progetto, che non siano dei banditi, che abbiano a cuore la società e che amino la maglia e la città. In questo momento c’è bisogno della gente giusta, non solo dei soldi. Tifosi, prima che imprenditori. Persone capaci di trascinare anche il restante tessuto sociale a dare una mano. La ripartenza della Spal non credo sarà un problema economico ma andrà azzeccata la scelta delle persone. Per la rinascita del Chievo noi avevamo attivato una raccolta fondi. Con le gente per bene si possono realizzare progetti validi».

Questione marchio?

«Adesso è prematura, credo che si sbloccherà tutto non appena fallirà formalmente l’attuale società. Noi abbiamo avuto parecchi bastoni tra le ruote e l’abbiamo pagato più del suo valore. Ma se si fa ripartire la Spal e lo si vuol riprendere, quando sarà possibile, lo si riuscirà a fare con poco, sapendo di avere una città dietro le spalle. Quando si parla d’identità, bisogna sempre lottare con amore per tutelarla».

Ci dica la sua su Antenucci: dentro la nuova società e, magari, anche in campo?

«Poco tempo fa Mirco mi ha chiamato per chiedermi un po’ di informazioni su queste situazioni, analizzando cosa avevamo fatto noi per il Chievo. Era molto dispiaciuto. È un amico, un giocatore straordinario, una bandiera del club, ha dato sempre il massimo ed è stato zitto quando non giocava. Lui è uno che tiene alla maglia, quindi il progetto deve ripartire da gente come lui. Mi auguro che sia così perché per ricreare un qualcosa serve gente appassionata e che abbia dimostrato di credere nella Spal. Da presidente avevo giocato solo simbolicamente una partita, mentre lui avrebbe appena terminato quindi chissà se avrà ancora voglia di campo».

Dopo tanto professionismo, anche lei ha conosciuto il mondo dei dilettanti. Sarà difficile uscirne?

«Se sei un milionario e hai tanti soldi da buttare all’istante è molto facile. Viceversa si farà più fatica, ma ce la si potrà fare se attorno al progetto ci saranno persone con le medesime intenzioni. Il primo obiettivo è ricreare una società sana, solida e capace di fare gli investimenti giusti auto sostenendosi. Serviranno pazienza e comprensione di alcune problematiche, ma facendo il bene della Spal si potrà tornare tra i professionisti anche in 3-4 anni».

L’eventuale ritorno di Walter Mattioli sarebbe una garanzia, in tal senso?

«Lui ha fatto sicuramente il bene della Spal. Poi però bisogna capire chi ci sarebbe alle sue spalle in termini economici. Servono personaggi solidi e senza secondi interessi, ma questo vale per tutti. Mattioli comunque sa cos’è la Spal, conosce bene la piazza, i tifosi e ha passione».

Capitolo settore giovanile?

«Dovrebbe essere il punto di ripartenza. Anche se con le nuove regolare è difficile costruire un vivaio importante nei dilettanti ed è per questo che le famiglie scelgono le società professionistiche avendo più garanzie. È complesso, ma la Spal ha le strutture e aveva già un vivaio molto valido. Se gran parte di questi ragazzi riuscissero a continuare a Ferrara sarebbe un’ottima cosa. Partendo però anche dal presupposto che anche i costi del settore giovanile andrebbero rimodulati, come d’altronde tutto il resto».

Il Chievo, invece, come se la passa?

«Siamo sempre gli stessi. In questo periodo stiamo cercando di risolvere alcune problematiche perché quando si riparte da zero è sempre difficile gestire determinate situazioni. Sembra in via di sistemazione anche la questione legata al campo sportivo. Stiamo crescendo, imparando dagli errori. È ovvio che il sogno resta quello di tornare il prima possibile tra i professionisti».