Dalla pianura alla vetta, quattro runner ferraresi al Tor des Géants
Max, Cristiano, Paolo e Massimiliano all’epica gara: «Va vissuta, è più di una corsa»
Ferrara Essere al Tor des Géants è già un’impresa. Già solo esserci è una conquista. Non bastano gambe e testa: serve coraggio, sacrificio e il desiderio di misurarsi con sé stessi. E la notizia, quest’anno, è che dalla pianura ferrarese sono saliti fino alle montagne della Valle d’Aosta alcuni atleti pronti a vivere - e raccontare - un’avventura che cambia la vita.
Dal 14 al 20 settembre Courmayeur è stata la casa della spedizione ferrarese. Max Saieva e Cristiano Cavallini hanno affrontato il Tor330, 350 km e oltre 26.000 metri di dislivello positivo. Per Max era la seconda volta, per Cristiano l’esordio assoluto. «La familiarità con il percorso non è bastata a calmare l’emozione - racconta Max - perché il Tor non è solo corsa, è introspezione, condivisione, notti insonni e passi nel silenzio». Dopo 115 ore, i due hanno tagliato il traguardo insieme. Cristiano, 179° su 741 finisher, ha commentato: «Il vero risultato non è il crono, ma aver portato a termine una delle gare più dure e affascinanti al mondo».
Diverso l’esito di Paolo Guidi al Tor130: il ferrarese, dopo oltre 100 km, ha dovuto fermarsi per un problema al tendine. «È stato il mio primo ritiro assoluto - confessa - ed è dura da accettare. Ma il sacrificio non è solo mio, anche della mia famiglia. Tornare intero era la scelta giusta».
Un assaggio di Tor lo ha invece vissuto Massimiliano Angiuli, che ha completato il Tor30, 30 km con 2000 metri di dislivello positivo, in 8 ore e 8 minuti: «Quando ho raggiunto il Colle del Malatrà e visto il Monte Bianco davanti a me, l’emozione è stata indescrivibile. Era un sogno lungo due anni, finalmente diventato realtà».
Infine lo sguardo esterno, ma pieno di partecipazione, di Arianna Zucchini, che ha seguito Max e Cristiano lungo il percorso. «Il Tor non è competizione, ma fratellanza. Nelle basi vita non conta chi sei nella vita reale: sei solo un’anima che lotta e condivide. Ed è lì che capisci che il Tor non è una gara, ma una lezione di vita».
Così, dal cuore piatto e orizzontale della pianura fino alle creste verticali oltre i 3000 metri, la spedizione ferrarese torna a casa con arrivi, ritiri e sogni realizzati. Tutti diversi, tutti autentici. Con una certezza comune: il Tor non si spiega, il Tor si vive. E quest’anno Ferrara c’era.