La Nuova Ferrara

Mestieri di una volta, ricordo sempre vivo

Mestieri di una volta, ricordo sempre vivo

Viaggio nella Ferrara che non c’è più: dal cuoio di Vella ai lupini di Malvina, le sementi di Andrighetti e la sartoria Azzo

28 ottobre 2014
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Se una macchina del tempo ci riportasse indietro di una cinquantina d’anni mentre stiamo passeggiando con un giovane dei nostri giorni, passando davanti al teatro Nuovo o ad un altro qualsiasi cinema, si noterebbe un piccolo assembramento davanti all’ingresso. Il giovane incuriosito ci chiederebbe sicuramente a cosa è dovuto e noi avremmo subito la risposta: “Nulla di speciale, stanno comprando le brostoline da consumare durante la visione del film”. Un vero rito di qualche anno fa a cui in pochi si sottraevano, tanto da trasformarsi, per qualcuno in un vero e proprio lavoro. A Ferrara le persone mature ricorderanno sicuramente quella vecchietta con le spalle coperte da uno scialle nero e i guanti che lasciavano le dita scoperte per incartare davanti ai cinema, in coni di carta gialla i semi di zucca oppure durante il giorno, specie d’inverno a proporre in qualche angolo del centro storico, una fetta di zucca cotta, le caldarroste e le ‘mistochine’, rombo di farina castagna, che insieme alle castagne ancora possiamo ritrovare oggi, nel periodo invernale, di cui si sono appropriati però i cinesi. Nell’atrio del Ristori c’era la Malvina che vendeva anche i lupini, al Nuovo Maria, che aveva un misurino per valutare la quantità giusta; una delle tante figure ormai lontane ma non dimenticate.

In via Cortevecchia al n. 12 c’è ancor oggi un antico negozio risalente al 1912 dove Paolo Andrighetti ha venduto fino a pochi anni fa sementi per uccellini. Quando si passava davanti alla sua vetrina si veniva subito catturati dal cinguettio di canarini o altri esemplari che il proprietario accudiva con tanto amore. Oltre al cibo, per questi animaletti nel negozio caratterizzato da una quantità di cassetti che ricoprivano tutte le pareti, c’erano poi semi di piante aromatiche o da orto e giardino; era il vero emporio per chi aveva un pezzetto di terra in città e desiderava coltivarlo. Oggi pur conservando la struttura interna la merce è del tutto diversa.

Anche il mestiere di sarto è quasi completamente scomparso. Rimangono forse alcuni esempi in provincia, dove non esistono i grandi empori o i centri commerciali, provvisti di tutto ma raggiungibili con qualche difficoltà da chi preferisce la comodità ed ancora ricorrere alle confezioni su misura. In via Garibaldi 32 al primo piano di un bel palazzo d’epoca c’era l’atelier di Azzo, un sarto specializzato in abbigliamento da uomo che rappresentava il meglio dell’eleganza e della qualità. Piccole botteghe di sartoria erano presenti in via Borgo di Sotto e in viale Vittorio Veneto, chiuse definitivamente una ventina di anni fa, in quanto non valeva più la pena di perdere ore chini su stoffe e non avere un guadagno corrispondente a tanta fatica.

A Ferrara c’erano anche rifornitissimi negozi di cuoio e pellami. Uno era in via Saraceno 52, del signor Paolo Vella, siciliano emigrato al Nord. Un altro era in Porta Reno proprio sotto l’antica torre dei Leuti, poi c’era la bottega delle sorelle Magnani sotto la Sinagoga, quella dei Zampollo in via Contrari ed altre ancora. Del resto la tradizione ferrarese della lavorazione del cuoio è talmente antica da essere ricordata persino da una strada, via dei Coramari. Entrando si respirava un forte odore di vernice, solvente e quello più piacevole della pelle; qui si rifornivano sia i privati che le ditte specializzate nella realizzazione di articoli di pelle; ma di tutto questo non è rimasto che qualche vetrina con la vecchia insegna.

Vella era famoso anche per la sua storia personale. «L’8 settembre - racconta la figlia -, dall’Albania dove si trovava militare stava tornando alla sua Sicilia quando fu bloccato a Ferrara dalla comprensibile confusione del momento. Qui era il suo futuro; infatti esperto di calzature andò a lavorare nel negozio di Preti che è ancora in corso Giovecca, poi l’idea di aprire un’attività tutta sua il 17 gennaio 1946 dove ha lavorato fino a 15 anni fa, quando purtroppo è mancato. Io ho tenuto aperto sino al 2005 poi ho dovuto chiudere».

Passavano per le strade della città richiamando l’attenzione delle massaie con i loro versi tipici: erano lo straccivendolo che nel suo carretto recuperava un po’ di tutto in cambio di qualche spicciolo, il lattaio che distribuiva il latte utilizzando una speciale bicicletta attrezzata di contenitori, lo stagnino, l’ombrellaio e l’arrotino, che sempre su particolari due ruote provvedevano a recuperare quello che oggi si butta via, senza pensarci due volte. Altri tempi che, forse, ritorneranno…

Irresistibile per i bambini era invece l’omino dei gelati che si trovava soprattutto al parco Massari o nei luoghi frequentati dai suoi piccoli clienti. «Mio padre - ricorda Paolo Balboni, che in inverno vende caldarroste e quando c’è la Spal si sposta allo stadio “Mazza” per proporre tutto quanto celebra la squadra di calcio cittadina - aveva un carretto a forma di cigno ed alternava i gelati ai bomboloni davanti alle scuole».

Antichi mestieri che fanno ormai parte della storia passata, soppiantati da un progresso veloce ma non così da cancellarne il ricordo.

Margherita Goberti

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