La Nuova Ferrara

«Bassani non avrà eredi Un unicum nella letteratura»

«Bassani non avrà eredi Un unicum nella letteratura»

Grande partecipazione all’Ariosto per l’anniversario della nascita dello scrittore Il critico Raffaeli: voleva arrivare al vero, all’universale per mezzo di ricordi

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Il viso disteso della preside Salvi era manifesto di soddisfazione; d’altronde, è stata espansiva la partecipazione all’anniversario della nascita di Giorgio Bassani, organizzato lo scorso 4 marzo dal Liceo Classico Ariosto, proprio dove il grande scrittore si diplomò nel ’34. Oltre alle fresche interpretazioni scaturite dalle letture degli studenti, ospite d’eccezione è stato il professore e critico letterario Massimo Raffaeli. Ospite coccolato, non a torto, dalla Fondazione Bassani, con la figlia Paola assorta in prima fila. A introdurre il marchigiano, è stato Roberto Dall’Olio con l'intervento Dove vivi?, focalizzato sulla poesia di Bassani, «affatto minore - ha esordito - bensì una dimensione cercata e voluta per l’intero arco della sua esistenza». Una poesia attraversata e dovuta ai luoghi di Ferrara e, al contempo, al non essere in alcun luogo. «Da nessuna parte - ha proseguito il professore - Immerso in un’epoca che pretendeva le persone stessero da una parte o dall’altra: l’ideologia più feroce. Il disincanto e l'acuto sarcasmo gli permisero, però, di far “sentire” all’animo altrui il vissuto ebraico, ma non solo, la temperie culturale che seguì quegli anni indicibili». I versi immortali di Rolls Royce hanno fatto strada a Raffaeli, subito rapito dal timbro di Bassani che risuonava regolare nell'atrio, quasi fosse lì, dietro una colonna. «Quando ci avviciniamo a qualcosa di gigantesco, non riusciamo a metterlo a fuoco. Dobbiamo fare un passo indietro». Bassani ha donato tanto alla nostra conoscenza, sia presentando autori planetari sulle riviste “Botteghe Oscure” e “Paragone”, sia in qualità di direttore editoriale di Feltrinelli. Fu anche ai vertici della Rai e presidente di Italia Nostra. «Nei romanzi - ha incalzato il critico - non ha da raccontare il “bello”, ma fa meditare il lettore su determinati avvenimenti che lo coinvolsero. Non fu scrittore di memoria, ma di storia. Vuole arrivare al vero, all’universale per mezzo dei suoi ricordi particolari. Manzoni e Mann sono al suo pari. Le liriche di Epitaffio, invece, sono a saliscendi: l’apparente trasandatezza è necessaria per trasmetterne la naturalezza. È una cadenza catulliana, alla leggera, poiché con una tradizione tale alle spalle, la leggerezza è la massima posta». Il percorso è continuato con la lettura de Gli ex fascistoni di Ferrara, in cui non c'è indulgenza per una certa cricca ipocrita, vile e assoggettata al potere alla maniera di Don Abbondio. Ignavi che con il tempo tentarono addirittura di riavvicinarsi a lui, dopo averlo messo in croce. «Non avrà alcun erede - a giudizio del critico - ma solamente epigoni, rimanendo un unicum della letteratura italiana». Raffaeli, che all’età di dieci anni lo ascoltò durante una conferenza nella sua provincia, lo vide irritarsi a causa della turbolenza dei bimbi presenti: «Allora non avrei potuto immaginare che quel piccolo uomo dalla voce bellissima e la sua opera, mi avrebbero occupato a tal punto la vita».

Matteo Bianchi