La Nuova Ferrara

cultura

Quando le medicine erano rozze funi

di DANIELE PREDIERI
Quando le medicine erano rozze funi

I malati ricoverati in manicomio, nelle campagne l’allarme sociale: al museo del Risorgimento la mostra sulla malattia

4 MINUTI DI LETTURA





di DANIELE PREDIERI

Non c’è coda per entrare, ma i torpedoni delle scolaresche farebbero bene ad arrivare ugualmente per far conoscere ai più piccoli la Ferrara dei loro trisnonni (nemmeno 100 anni fa) quando si moriva di miseria, di vergogna, di pellagra. Mancano anche le foto, in questa piccola mostra al Museo del Risorgimento, ma come fai a mettere a nudo tanto dolore, mani e corpi devastati da piaghe come fosse lebbra o le immagini di visi elettrici, di chi veniva denunciato - e dovevano farlo medici ed enti pubblici, per legge - come pellagroso e ricoverato in manicomio, perchè non si sapeva più dove metterlo. Non ci sono foto di ciò che causava la pellagra ed è una scelta delle curatrici, Mara Guerra e Magda Beltrami, «per evitare immagini forti, e per rispetto dei tanti malati». Malati di pellagra diagnosticati spesso come alienati, migliaia di uomini e donne che all’inizio del secolo scorso anche a Ferrara riempivano manicomi (il 22% dell’ospedale cittadino). Era una malattia della miseria, la pellagra, perchè si ammalavano solo contadini e braccianti malnutriti alimentati di polenta di mais, scadente se non marcio. Era anche una malattia della vergogna perchè doveva restare chiusa in casa, e le donne erano le più vulnerabili ad essa. Pellagra, . mal della rosa come poeticamente citata per gli eritemi a chiazze sulla pelle, parola nata dal dialetto lombardo (pelle agra), è conosciuta come la malattia delle tre D: colpiva il derma (lesioni squamose), causava diarrea legata alla monoalimentazione di mais. E demenza, perchè portava a problemi psichiatrici incontrollabili, l’unica soluzione erano i manicomi. Fuori, per gli altri malati, c’era la «Società di soccorso ai pellagrosi», fondata nel 1881 a Ferrara da un gruppo di notabili della città, tra cui molti proprietari terrieri: fiore all’occhiello della mostra sono proprio i documenti originali dell’epoca, i verbali dei consigli della società dove, ad esempio, si possono leggere nelle voci dei bilanci gli interventi fatti dalla società per fornire sussidi ai pellagrosi.

Ma non bastava: servivano anche le locande sanitarie. «La prima della nostra zona fu aperta a Pieve di Cento nel 1896», spiegano le curatrici, sottolineando il contributo pionieristico dato dal Ferrarese nel curare e debellare la malattia. «Locande sanitarie, in tutto 52 distribuite in provincia, che erano luoghi fisici, strutture dove veniva rilasciato il certificato medico di pellagroso, e dove i pellagrosi andavano a mangiare». Questa la vera cura: mangiar di più, mangiare meglio. «Le locande aprivano 2 volte l’anno, per 40 giorni, nei momenti in cui le persone erano più vulnerabili, alla fine dell’inverno e in autunno, quando cominciava a scarseggiare il cibo». Dal 1850 al 1930, Ferrara ebbe un ruolo primario nella «guerra» alla pellagra presente nelle nostre campagne, dove i malati arrivavano nei manicomi all’ultimo stadio della malattia (dopo averla nascosta per vergogna), con spasmi controllati come si poteva «legando mani e piedi con rozze funi». Non poteva che esser questo il titolo della mostra, che potrà dare a chi la visita una idea dell’emergenza che ha rappresentato la malattia nelle campagne del Ferrarese: allarme sociale e politico per una nazione come l’Italia che dovette ricorrere ad una legge contro la pellagra, nel 1902. «Abbiamo impegnato 2 anni per raccogliere documenti e arrivare a questa mostra che diventerà presto un libro - spiegano le curatrici - mostra che potrebbe diventare itinerante in diverse sedi della provincia. Il nostro intento è proprio quello di far ricordare una malattia come questa, causata dalle miserevoli condizioni di vita della nostra gente di campagna costretta a nutrirsi quasi esclusivamente di polenta, una malattia della fame dunque e non certo dovuta ad una tossina presente nel mais guasto». La mostra mette in luce proprio questo contrasto, scoppiato alla fine degli 1870, tra Cesare Lombroso, conosciuto dai più per le teorie di criminologia, che impose - di fatto - le proprie teorie mediche diventate poi base della nuova legge che il Governo Giolitti promulgò: Lombroso riteneva che la pellagra fosse causata da una tossina nel mais guasto e i suoi effetti simili a quelli prodotti da veleni, da qui scompensi psichici. Teoria del Lombroso che prevarrà a lungo perchè non metteva in discussione le cause sociali-politiche della malattia, la povertà. Fu Ferrara per prima a combattere il Lombroso pensiero, a farlo fu il direttore del manicomio cittadino, Clodomiro Bonfigli, sostenendo che la pellagra era dovuta alla miseria nelle campagne e il mais guasto era solo causa indiretta. Medico illuminato, è lo stesso Bonfigli a regalare il titolo alla mostra citando un caso nel suo ‘Bollettino del manicomio’, quello di via Ghiara: il medico scriveva nel 1878 di «un fatto dolorosissimo». Quello di una certa M.M., «povera vecchia pellagrosa condotta al nostro manicomio sopra un cattivo biroccio, ed in condizioni così gravi di malattia che non si potè nemmeno torglierla dal veicolo, sul quale aveva fatto un viaggio di circa 24 miglia (36 km)». La poveretta dopo mezzora di agonia curata in ogni miglior modo possibile, morì, ricorda Bonfigli denunciando che «questi malati si ha il costume di metterli legati mani e piedi con rozze funi». Lo fa ammonendo «i signori dei Municipi ferraresi», poichè simili fatti non debbano più accadere: «qualora si verifichi un’altra volta, noi ne informeremo l’autorità giudiziaria». Averne, anche oggi, di Bonfigli!