La Nuova Ferrara

«La riforma del nostro Papa deve iniziare dalla dottrina»

«La riforma del nostro Papa deve iniziare dalla dottrina»

Lo scrittore Vito Mancuso e la sua «rifondazione del progetto di Dio» E sottolinea il bisogno di una leadership che ristabilisca i valori fondamentali

13 dicembre 2015
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Chiude in grande stile la rassegna “Se una domenica d’inverno uno scrittore…”, curata dal docente Fabrizio Fiocchi, che oggi, alle 17, all’Ibs+Libraccio presenterà l’ultimo saggio del teologo Vito Mancuso, Dio e il suo destino (Garzanti). Ed è lo stesso Mancuso a raccontarsi.

È ancora concepibile un Dio che non sia solo rito?

«Siamo in un momento molto delicato a ridosso della caduta delle religioni occidentali. Il processo di secolarizzazione procede imperterrito: dalla presenza alle messe, all’ora di religione nelle scuole, sino a prendere i sacramenti, i dati sull'affluenza sono crollati. Dalla mente al cuore delle persone c’è stato un calo. Al contrario, non ricordo un’età in cui la religione avesse tanta importanza nel dibattito pubblico, sia sotto il profilo sociopolitico che sotto quello spirituale».

Di papa Francesco cosa ne pensa?

«Sta facendo un ottimo lavoro, però occorrerebbe che non si limitasse alla dimensione disciplinare e interna della Curia, che va raddrizzata, ma che la riforma toccasse la dottrina, se si vuole parlare alla coscienza contemporanea».

Compensa certe mancanze dei nostri politici?

«Dimostra il bisogno di una leadership che ristabilisca i valori fondamentali. Non che i politici di un tempo fossero migliori, o meno corrotti… o forse sì, chi lo sa. Un tempo la politica aveva una funzione ideale e i politici esercitavano un ruolo profetico sulla popolazione. Erano di più di semplici amministratori della “cosa pubblica”, riscaldavano i cuori delle folle, sfamavano il loro bisogno di simboli, di ideali. Tanto che per alcuni il partito era una vera e propria fede. L’enciclica Laudato sì ha suscitato il dialogo, intercettando il bisogno di spiritualità tanto a destra quanto a sinistra».

Però rimane impantanato negli affari interni…

«Riesce ancora a veicolare gli ideali civili, i buoni sentimenti; quando poi, però, si tratta di parlare alla ragione, fallisce. A differenza di un tempo, la Chiesa non riesce più a penetrare nel profondo».

Il suo “Deus” perché sarebbe diverso?

«L’idea veicolata dall’Occidente non è più all’altezza della dimensione etica raggiunta dal nostro tempo. Il Dio violento che s’impone dall’alto, che preferisce un popolo agli altri, per il quale “non si muove foglia che dio non voglia”, non è plausibile sotto il profilo etico. Nel libro propongo una rifondazione del progetto di Dio. Si tratta di prendere sul serio il messaggio fondamentale della Bibbia, per cui Dio è luce e bene, è amore. I lineamenti che Dante canta nel XX del Paradiso. L’immagine più alta che la tradizione del Cristianesimo possa tramandare».

E l’Islam intanto punisce la nostra incoerenza.

«All’indomani dello scorso 13 novembre, della tragedia, papa Francesco definì una bestemmia la giustificazione della violenza tramite la religione. Parole sante. Ma la richiesta all’Islam di non strumentalizzare il Corano non sarà credibile sino a quando gli stessi cristiani non avranno purificato il loro messaggio evangelico».

Tornando al titolo: quale destino s’intravede?

«Dobbiamo smettere di pensare che la Rivelazione cristiana sia conclusa, come l'evoluzione della specie umana non è definitiva. Il cuore e la mente continuano ad aprirsi sempre più all’unisono per abbracciare il futuro; perciò è necessario abbandonare una parte del passato e guardare a un Dio condiviso, che è pace e comunione, prima tra di noi poi verso l’Islam».

Matteo Bianchi

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