Silvano Balboni, uomo nuovo nella Ferrara del dopoguerra
di CARLO BASSI
Nel suo saggio Daniele Lugli racconta la figura del giovane politico cittadino Morì a soli 26 anni: fu assessore nella prima legislatura e grande innovatore
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Aspettavamo ormai da troppo tempo che la cultura ferrarese ci regalasse un ricordo attento e documentato della vicenda umana, politica e culturale di un giovane figlio di questa città quale è stato Silvano Balboni, protagonista fondamentale dei tempi politici e culturali nel dopoguerra immediato (1945 – 1948), non solo per la sua attività di assessore nella prima giunta democratica di governo ma come autentico “Uomo della Novità”.
E il ricordo attento ed estremamente documentato ci è oggi consegnato attraverso un libro complesso e bellissimo che Daniele Lugli in lunghi anni di lavoro ha voluto dedicargli, erede delle molte carte che lo hanno riguardato e testimone dei molti aspetti che nella sua vita lo hanno impegnato in una attività politica di altissimo livello e di eccezionale lucidità fatta di passione, di dedizionee di lungimiranza. Il titolo del libro è bellissimo: Silvano Balboni era un dono, edito da Csa Editrice. Sono stato amico di Silvano Balboni e nel libro c’è cenno a questo privilegio che ha determinato e guidato la mia vita di operatore di cultura, consapevole dei valori alti della politica. Il libro è una summa documentatissima che indaga, come ho accennato, gli anni cruciali di presenza nella vita politica della città di Silvano Balboni, presenza che si rivelò subito “anomala” per le novità etiche e operative che proclamava.
Balboni infatti è stato per Ferrara “l’uomo della novità” titolo che lo scrittore Giulio Cattaneo ha attribuito ad un altro protagonista di quegli anni, Ferdinando Tartaglia (peraltro amico e maestro di Silvano) ma penso che per le attività messe in atto da Balboni a Ferrara, è definizione che assolutamente gli compete. L’ambiente e le situazioni nelle quali il lavoro tenace di Silvano prendeva forma era quello che si manifestava nelle città italiane, nell’immediato dopoguerra. Cito ancora Giulio Cattaneo: «Con la gente che si agitava in una rinnovata volontà di vivere e smania di parlare in una confusione di idee che associava gli studenti universitari ai loro maestri, ai liberi ricercatori religiosi che si riunivano come congiurati, agli infiammati cittadini di qualsiasi ceto che affollavano le sale dei palazzi comunali dove si discuteva di repubblica e monarchia, di Stato e Chiesa, di voto obbligatorio».
Nel cuore di questo stato di cose, Balboni portò la novità dei Cos, Centri di orientamento sociale che facevano sentire alle istituzioni la voce dei cittadini, portò la novità, con Aldo Capitini, del Movimento di Religione, per liberare la fede «dalla allucinazione delle forme», portò la novità del suo lavoro di amministratore finalizzato, con rigore e apertura ad un tempo, allo studio e alla soluzione dei problemi urgenti di un tempo anomalo e drammatico.
Socialista per ferma convinzione e per cultura familiare, con una convinzione ferma e radicale contro la guerra, tanto da disertare al richiamo alle armi fascista decidendo di vivere alla macchia nascosto in barche ancorate in luoghi inaccessibili che l’amico fidatissimo Claudio Savonuzzi governava con grande sapienza. Fino all’espatrio in Svizzera dove maturerà molte decisioni da attuare tornato in patria: ricordiamo per tutte la realizzazione della Casa del Bambino in Corso Porta Po in collaborazione con l’Aiuto Svizzero. Il libro documenta con una attenzione straordinaria tutti i passaggi, le lettere, le amicizie, gli incontri che segnarono la sua attività che fu, in quegli anni indimenticabili, senza soste. Si muoveva prevalentemente in bicicletta e la rete delle amicizie a Ferrara, a Firenze, a Perugia, in Svizzera: Aldo Capitini, Ferdinando Tartaglia, Gianfranco Contini, Giusto Tolloy, Claudio Varese, Carlo Ludovico Ragghianti, Mario Pinna, Franco Giovanelli a partire da Alda Costa che lo aveva allevato, insieme a Giangi Devoto, alla libertà e alla giustizia, era saldamente governata da lunghe lettere che il libro in gran parte riporta.
Penso che chi avesse interesse a capire anche solo un particolare di un avvenimento politico che in quel giro di anni abbia interessato Ferrara non potrà non documentarsi in queste pagine che illustrano fatti e dinamiche facendo sempre riferimento al pensiero e alla attività e alle decisioni di Silvano Balboni. Emblematica la attenta analisi “ferrarese” della vicenda che in quegli anni ha coinvolto il partito Socialista coni suoi furori e le sue divisioni.
La nostra amicizia era maturata sui tavoli della grande sala di lettura della biblioteca Ariostea dove ci incontravamo quotidianamente sotto gli occhi dell’onnipresente dottor Azzolini responsabile del luogo, io a leggere i testi di Ernesto Buonaiuti e lui a studiare quelli di Giuseppe Ferrari. Anni dopo l’attività dei Cos mi vide, determinato, vicino a lui. Tutto questo fino alla notte dell’8 novembre 1948. Silvano Balboni moriva a ventisei anni.
©RIPRODUZIONE RISERVATA
E il ricordo attento ed estremamente documentato ci è oggi consegnato attraverso un libro complesso e bellissimo che Daniele Lugli in lunghi anni di lavoro ha voluto dedicargli, erede delle molte carte che lo hanno riguardato e testimone dei molti aspetti che nella sua vita lo hanno impegnato in una attività politica di altissimo livello e di eccezionale lucidità fatta di passione, di dedizionee di lungimiranza. Il titolo del libro è bellissimo: Silvano Balboni era un dono, edito da Csa Editrice. Sono stato amico di Silvano Balboni e nel libro c’è cenno a questo privilegio che ha determinato e guidato la mia vita di operatore di cultura, consapevole dei valori alti della politica. Il libro è una summa documentatissima che indaga, come ho accennato, gli anni cruciali di presenza nella vita politica della città di Silvano Balboni, presenza che si rivelò subito “anomala” per le novità etiche e operative che proclamava.
Balboni infatti è stato per Ferrara “l’uomo della novità” titolo che lo scrittore Giulio Cattaneo ha attribuito ad un altro protagonista di quegli anni, Ferdinando Tartaglia (peraltro amico e maestro di Silvano) ma penso che per le attività messe in atto da Balboni a Ferrara, è definizione che assolutamente gli compete. L’ambiente e le situazioni nelle quali il lavoro tenace di Silvano prendeva forma era quello che si manifestava nelle città italiane, nell’immediato dopoguerra. Cito ancora Giulio Cattaneo: «Con la gente che si agitava in una rinnovata volontà di vivere e smania di parlare in una confusione di idee che associava gli studenti universitari ai loro maestri, ai liberi ricercatori religiosi che si riunivano come congiurati, agli infiammati cittadini di qualsiasi ceto che affollavano le sale dei palazzi comunali dove si discuteva di repubblica e monarchia, di Stato e Chiesa, di voto obbligatorio».
Nel cuore di questo stato di cose, Balboni portò la novità dei Cos, Centri di orientamento sociale che facevano sentire alle istituzioni la voce dei cittadini, portò la novità, con Aldo Capitini, del Movimento di Religione, per liberare la fede «dalla allucinazione delle forme», portò la novità del suo lavoro di amministratore finalizzato, con rigore e apertura ad un tempo, allo studio e alla soluzione dei problemi urgenti di un tempo anomalo e drammatico.
Socialista per ferma convinzione e per cultura familiare, con una convinzione ferma e radicale contro la guerra, tanto da disertare al richiamo alle armi fascista decidendo di vivere alla macchia nascosto in barche ancorate in luoghi inaccessibili che l’amico fidatissimo Claudio Savonuzzi governava con grande sapienza. Fino all’espatrio in Svizzera dove maturerà molte decisioni da attuare tornato in patria: ricordiamo per tutte la realizzazione della Casa del Bambino in Corso Porta Po in collaborazione con l’Aiuto Svizzero. Il libro documenta con una attenzione straordinaria tutti i passaggi, le lettere, le amicizie, gli incontri che segnarono la sua attività che fu, in quegli anni indimenticabili, senza soste. Si muoveva prevalentemente in bicicletta e la rete delle amicizie a Ferrara, a Firenze, a Perugia, in Svizzera: Aldo Capitini, Ferdinando Tartaglia, Gianfranco Contini, Giusto Tolloy, Claudio Varese, Carlo Ludovico Ragghianti, Mario Pinna, Franco Giovanelli a partire da Alda Costa che lo aveva allevato, insieme a Giangi Devoto, alla libertà e alla giustizia, era saldamente governata da lunghe lettere che il libro in gran parte riporta.
Penso che chi avesse interesse a capire anche solo un particolare di un avvenimento politico che in quel giro di anni abbia interessato Ferrara non potrà non documentarsi in queste pagine che illustrano fatti e dinamiche facendo sempre riferimento al pensiero e alla attività e alle decisioni di Silvano Balboni. Emblematica la attenta analisi “ferrarese” della vicenda che in quegli anni ha coinvolto il partito Socialista coni suoi furori e le sue divisioni.
La nostra amicizia era maturata sui tavoli della grande sala di lettura della biblioteca Ariostea dove ci incontravamo quotidianamente sotto gli occhi dell’onnipresente dottor Azzolini responsabile del luogo, io a leggere i testi di Ernesto Buonaiuti e lui a studiare quelli di Giuseppe Ferrari. Anni dopo l’attività dei Cos mi vide, determinato, vicino a lui. Tutto questo fino alla notte dell’8 novembre 1948. Silvano Balboni moriva a ventisei anni.
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