La Nuova Ferrara

Farina e Warhol La mostra del ’75 nelle sale bendate

SEGUE DALLA PRIMA
Farina e Warhol La mostra del ’75 nelle sale bendate

I ricordi del direttore raccolti dal successore alla guida del museo, Maria Luisa Pacelli

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Mi avevano cercato per chiedermi di scrivere un testo che ricostruisse la storia della mostra dedicata alla serie Ladies & Gentlemen di Warhol, serie che, com’è noto, era stata presentata per la prima volta al Palazzo dei Diamanti di Ferrara nel 1975. La rassegna, che comprendeva 105 dipinti e 10 litografie, rimase aperta al pubblico dal 26 ottobre all’8 dicembre. Pensai subito di rivolgermi al protagonista di quella vicenda, Franco Farina, nel ‘75 direttore del Palazzo dei Diamanti e gli proposi di lavorare assieme a un’intervista. Franco ne fu contento e accettò volentieri. Iniziammo così a incontrarci periodicamente a casa sua, spesso assieme a Lola Bonora che, oltre ad essere stata testimone diretta e complice di quell’avventura, aveva conosciuto Warhol e ripreso alcuni momenti significativi del suo passaggio a Ferrara con la pionieristica attrezzatura del Centro Video Arte.

Durante gli incontri con Franco, che terminavano generalmente nel tardo pomeriggio con una coppa di champagne, guardavamo assieme le carte relative alla mostra conservate presso gli archivi del museo, oppure gli riferivo l’esito delle ricerche che avevo condotto rintracciando altri testimoni, come l’architetto Maurizio di Puolo che aveva curato il geniale allestimento, o i fallimenti nel cercare di reperire documentazione fotografica sulla mostra e sulle scorribande ferraresi dell’artista. Nel frattempo i suoi ricordi fluivano, spaziando spesso ben oltre il tema che ci eravamo assegnati e le conversazioni prendevano strade impreviste e sorprendenti e, quindi, benché lo avessi incontrato molte volte e in varie circostanze prima di allora, visto che cercava di non mancare mai alle vernice delle mostre di Palazzo dei Diamanti, posso dire di averlo conosciuto davvero in quella circostanza.

L’intervista che dopo molti tagli e revisioni decidemmo di licenziare, e che per gentile concessione del Wadsworth Atheneum Museum of Art e della Yale University Press, è pubblicata parzialmente qui di seguito, non restituisce, come è ovvio, l’emozione e la ricchezza di quelle ore, ma racconta la storia non comune di come e perché la scandalosa serie di ritratti di un gruppo di travestiti neri e portoricani fosse approdata in anteprima in una sobria e antica cittadina del nord Italia di cui Warhol non aveva mai sentito parlare prima di allora.

Fautori dell’operazione, oltre a Franco, furono il gallerista torinese Luciano Anselmino e il curatore e critico Janus che all’epoca dirigeva la galleria di Anselmino, Il Fauno.

Accadde che, mentre era in corso una trattativa per trasferire al Palazzo dei Diamanti una mostra di Warhol che era stata presentata al Palais Galliera di Parigi, Franco ricevette da Anselmino una di quelle proposte che non si possono rifiutare, ovvero l’opportunità di presentare una serie inedita dell’artista e così, ovviamente rinunciò all’altro progetto.

Maria Luisa Pacelli - Quando ho chiesto a Janus (curatore della mostra) da chi e come fosse nata l’idea di realizzare la serie di Ladies & Gentlemen, mi ha raccontato che un giorno Anselmino era arrivato trafelato alla galleria e gli aveva parlato dell’idea che gli era venuta durante la notte. Poi, dopo una breve consultazione tra loro, Anselmino l’aveva proposta a Warhol chiamandolo al telefono e travolgendolo con il proprio entusiasmo.

Franco Farina - Andò proprio così, ma di certo ebbe un peso anche il fatto che Anselmino trovò un compratore per tutti i dipinti già prima che fossero realizzati e, poco dopo, anche una sede espositiva in uno spazio pubblico dove presentarli, ovvero Ferrara.

Chi si occupò dell’allestimento? Venne coinvolto anche Warhol? Come venne concepito?

Ricevetti una lettera di Anselmino da New York in cui mi comunicava che Warhol desiderava che realizzassimo una carta da parati con la quale ricoprire le pareti delle sale espositive. A questo scopo, Anselmino avrebbe riportato da New York un dipinto originale da cui trarre il disegno per la carta da parati e il manifesto dell’esposizione. Nella stessa lettera mi propose di affidare la realizzazione del progetto all’architetto Maurizio di Puolo con il quale aveva già realizzato altre mostre di successo, e così feci.

Ho visto però nelle foto dell’allestimento che le pareti delle sale espositive non sono coperte da carta da parati.

In effetti, l’operazione risultò troppo costosa per il budget della mostra. All’ultimo minuto, l’architetto ebbe però un’altra idea, molto efficace ed economica. La sera precedente l’inaugurazione, con le opere già tutte alle pareti, pensò di tamponare le porte che si susseguono lungo la galleria di Palazzo dei Diamanti utilizzando i manifesti dell’esposizione. Procedendo dall’ultima sala, e venendo avanti fino alla prima, chiuse tutti i varchi attaccando i manifesti agli stipiti delle porte e bagnandoli con dell’acqua. Così per attraversare la galleria e passare da una sala all’altra sarebbe stato necessario squarciare la carta. Quella notte le luci rimasero accese poiché non si poteva rientrare nelle sale e spegnerle…

Warhol arrivò il giorno dell’inaugurazione con la mostra già allestita. Quale fu la sua reazione?

Quando arrivò a Palazzo dei Diamanti sembrava disorientato, soprattutto perché, vista la soluzione che era stata trovata per l’allestimento, non poté vedere la mostra in anteprima, ma la vide assieme al pubblico che era venuto per l’inaugurazione. Per entrare nelle sale era infatti necessario sfondare lo strato di manifesti con cui Di Puolo aveva chiuso i varchi.

Quindi l’inaugurazione si trasformò in una sorta di happening. Cosa avvenne?

Ovviamente chiedemmo a Warhol di aprire i varchi. All’inizio rimase perplesso, era una persona timida, inoltre aveva una corporatura esile e invece ci voleva una certa energia per sfondare gli strati dei manifesti che si erano induriti durante la notte, ma poi capì il gioco, e anche l’allusione, per cui sembrava divertito e anche colpito nel vedere le sue opere alle pareti. Man mano che procedeva, le persone lo seguivano e entravano nelle sale, c’era una grande euforia nell’aria.

Quel giorno venne organizzata anche una conferenza stampa e una tavola rotonda, che sono state riprese da Lola Bonora, Carlo Ansaloni e Giovanni Grandi, che da poco avevano dato vita al Centro Video Arte di Palazzo dei Diamanti, dove si producevano video d’artista, ma anche filmati che documentavano le attività del museo. Warhol non sembra del tutto a proprio agio... Il clima culturale italiano della metà degli anni Settanta, così denso di ideologia e molto politicizzato, era distante anni luce all’universo estetico e culturale di Warhol.

Sì forse è così, ma la mostra gli piacque molto, quindi a un certo livello si era riusciti a comunicare. D’altra parte è vero che quel lavoro venne interpretato, sia da noi che dalla stampa italiana, come un’opera di denuncia. Questo perché i soggetti non solo erano dei travestiti, ma appartenevano anche a delle minoranze etniche, alcuni erano portoricani altri neri, e in quel clima era normale che tutto ciò venisse caricato di una valenza politica.

Ma il maestro non era su quella lunghezza d’onda. Come rispose alle vostre sollecitazioni?

Tendeva a sviare le domande, faceva finta di non capire e lasciava che il suo assistente, Bob Colacello, che lo proteggeva e lo controllava passo passo, rispondesse al posto suo, ad esempio quando gli chiedemmo se politicamente era schierato a sinistra.

Dopo Ferrara la mostra ebbe altre tappe?

Non subito. Ci fu un’esposizione a Venezia nel 1988 promossa da Carlo Monzino che era il proprietario delle opere. Il titolo era Andy Warhol in Venice. Ricordo che in quel caso il catalogo venne pubblicato da Mazzotta.

Nell’archivio di Palazzo dei Diamanti, tra i documenti relativi a questa esposizione, c’è la copia di un dattiloscritto firmato Pier Paolo Pasolini, intitolato Ladies and Gentlemen. Imbattermi in questo testo mi ha fatto una certa impressione, non solo per la sua bellezza e profondità, ma anche perché, controllando le date, ci si rende conto che fu scritto poco prima che Pasolini fosse assassinato (la mostra aprì il 26 ottobre e Pasolini morì la notte tra l’1 e il 2 novembre). Nel catalogo della mostra ferrarese il testo non figura, mentre è stato pubblicato in inglese proprio nel catalogo della mostra veneziana, a cui ha appena fatto riferimento. Ricorda chi commissionò in origine il testo? E a quale pubblicazione fosse inizialmente destinato? Pasolini scrive come se avesse visto i dipinti. A sua memoria visitò la mostra a Ferrara?

Il testo ha impressionato anche me quando me lo hai fatto vedere. Non lo ricordavo e non mi risulta che Pasolini fosse venuto a Ferrara a vedere la mostra, anzi di sicuro non venne, questo me lo ricorderei…! Posso però supporre che fu Anselmino a chiederlo a Pasolini, magari per un giornale, i due erano diventati molto amici, erano entrambi omosessuali e frequentavano gli stessi ambienti. Tra l’altro nel testo Pasolini parla di un suo incontro con Man Ray che quasi certamente gli venne presentato da Anselmino che era il suo gallerista in Italia. Forse poté vedere le opere di Warhol prima che arrivassero a Ferrara o in riproduzione, ma posso solo fare supposizioni.

Cosa significò questa mostra per lei e per i Diamanti?

Fu importante da molti punti di vista. Innanzitutto il successo di pubblico e la grande risonanza che la mostra ebbe mi diedero la forza, sia in città che fuori, per continuare a lavorare sull’arte contemporanea, cosa non scontata per una città italiana di provincia in quegli anni. Oltre a questo, mi permise di instaurare e consolidare importanti rapporti professionali, oltre che di amicizia, da cui nacquero molti altri progetti.

Maria Luisa Pacelli

Estratto dell’intervista
originariamente pubblicata
in “Warhol & Mapplethorpe Guise & Dolls”
Wadsworth Atheneum Museum of Art
e Yale University Press