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Sezione femminile La vita in carcere vista dalle donne Per pensare positivo

Maria Cristina Nascosi
Sezione femminile La vita in carcere vista dalle donne Per pensare positivo

Continuano le proiezioni per il film diretto da Melloni Il regista: «È un luogo con una forte dimensione umana»

17 marzo 2019
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Sezione femminile è un docu-fiction del regista bolognese Eugenio Melloni. Quest’ultimo, molto legato alla nostra città (ha sceneggiato La vita come viene di Stefano Incerti con Stefania Sandrelli e Tony Musante, girato a Ferrara), dal novembre 2015 tiene un laboratorio cinema nella sezione femminile del Carcere della Dozza di Bologna, tuttora attivo. Proprio da questo fondamentale impegno nasce la pellicola, presentata prima a Bologna e di recente nella nostra città, prima al Cinema Santo Spirito e l’8 marzo (data simbolica) nel carcere di via Arginone. Ma le proiezioni in zona non sono terminate, infatti il prossimo 11 aprile sarà presentato anche al don Zucchini a Cento.

ferrara al centro

La proiezione all’Arginone è particolare, perché farla l’8 marzo, giorno dedicato alla donna per antonomasia ha un senso giustamente provocatorio, perché quello di Ferrara è un carcere esclusivamente maschile, a differenza di altri in cui c’è una parte femminile, circa il 10%.

Come giustamente lo definisce lo stesso Melloni (pure autore di soggetto, sceneggiatura e montaggio), «il senso del plot filmico è una “trasfigurazione” resa in una sorta di immaginario individuale, a tratti collettivo. Metafora applicata all’esistenza delle donne che scontano la loro pena nel carcere della Dozza di Bologna».

Ed immaginare serve ad innestare un processo rieducativo, un percorso duro, per certe, forse, impossibile.

Sezione femminile è un film complicato, certo, scomodo, imbarazzante, ma tale era l'intento, come pure il voler far pensare, il voler metter in discussione anche ciò che nella vita per ognuno/a di noi non è neppure pensabile, forse... «che documenta senza essere un documentario - dice il regista - e che emoziona senza essere una fiction tipica. Non racconta la condizione carceraria a mo’ di inchiesta o altro. È fuori norma, come è stato scritto».

il lavoro

I tempi lenti, la camera fissa su di un volto, per molto quasi “troppo” tempo - sopportabile - mettono molto a disagio, eufemisticamente, il visivo fruitore... Lo spettatore passivo, il voyeur per eccellenza, quello cinematografico, si trova di fronte a se stesso, stavolta con inquietudine e malessere: quel viso, quei visi che passano lo schermo a trafiggerlo quasi, quegli occhi, mettono in crisi, fanno “scomodamente” pensare che ciò di cui si parla è una vita, ma per quasi la totalità una “non vita”.

La pellicola racconta tante storie di vita: un’attrice traduce le parole del diario di una detenuta straniera; Amanda con la valigia sul grembo pronta ad uscire si incrocia con la giovane Denise, appena entrata e che deve scontare 22 anni; Betty riceve lettere d’amore dalla sezione maschile; ma anche due donne che fanno le volontarie dentro al carcere e si chiedono perché.

E il contributo di Ferrara si trova grazie anche ad Andrea Poltronieri, il quale ha contributo alle musiche, curate dalla violinista Danusha Waskiewicz.

«Il messaggio del film? Uso le parole di una spettatrice, anche se sono estrapolate da un commento: “Restituisce un’immagine di carcere diversa da quella che normalmente si ha, più aperta e più positiva. La gente può farcela se viene aiutata”. Mettendo da parte il buonismo, il carcere ci sarà sempre e ci sono cittadini al posto nostro che lavorano per farlo funzionare secondo i dettami della legge, con tutto un sistema di controlli tipici di un ordinamento democratico. Il fatto che alcune agenti abbiano deciso di dare un contributo al film su un tema doloroso, dice molto sul fatto che la dimensione umana è inevitabilmente presente in quei luoghi», chiude il regista.

Maria Cristina Nascosi

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