San Paolo, una storia millenaria. Il fascino del busto funebre del vicelegato pontificio in città
Opera di autore seicentesco ricorda monsignor Accoramboni, sepolto nel tempio carmelitano
L’antichissima chiesa della Conversione di San Paolo, costruita in origine prima del Mille, era, ed è, il Pantheon di Ferrara. Perché ricca di memorie con le sue tombe illustri e l’apparato decorativo eseguito da celebri maestri. Pantheon (parola greca: in latino classico Pantheum) significa “tempio di tutti gli dei”. Il terremoto del 1570 danneggiò l’edificio ferrarese tanto da rendere necessaria una sua ricostruzione radicale, non senza gravi perdite sul piano artistico, tanto per l’aspetto esterno, risultato sobrio ma non eccelso dal progetto di Alberto Schiatti, che per le opere all’interno, molte delle quali andarono perse o eliminate poiché rovinate dai crolli.
BUSTO ARTISTICO
Nuovi manufatti artistici furono sistemati nel ricreato San Polo, come si diceva un tempo, alla veneta. Tra questi non sempre è stato messo in risalto negli studi un busto con la sua lapide funebre, opera di un ancora ignoto scultore secentesco. Ritrae un personaggio di notevole interesse, monsignor Roberto Accoramboni, romano, vicelegato di Ferrara papalina. Dal tondo circondato da una corona vegetale, poggianti su un pilastro, escono in altorilievo la testa e le spalle in alabastro del prelato: lo stemma di famiglia (dalla complessa blasonatura, sommariamente “Di rosso, al grifo d’argento caricato di tre bande d’azzurro”), cornucopie e un teschio ornano la lapide a cartiglio che delinea la vita di Roberto, defunto trentacinquenne nel 1663. Il testo è riportato da Andrea Borsetti Ferranti nel Supplemento al Compendio Historico del Signor D. Marc’Antonio Guarini, opera del 1670, a ridosso della morte di Roberto.
MORTO A PADOVA
Apprendiamo dal Supplemento che Accoramboni «morse in Padoua, essendo andato à que’bagni, per cagione di sue infermità, e iui passò all’altra vita l’Anno 1663, essendo vicilegato di Ferrara». Fu riportato a Ferrara e qui sepolto nel tempio carmelitano. La lapide, posta dal fratello Mario, ricorda il loro padre, Fabio, e le doti del defunto.
MATRIMONI AZZECCATI
Gli Accoramboni da Gubbio si fecero largo a Roma grazie alle loro professionalità e a matrimoni azzeccati, giungendo, proprio con Mario e Roberto, a possedere il grandioso Palazzo Rusticucci, nel Rione di Borgo, a un passo da San Pietro. L’edificio, tuttora esistente, è però una ricostruzione dovuta all’abbattimento del palazzo originale, voluto nel Novecento per formare la Via della Conciliazione. Roberto fu Referendario delle Due Segnature. Il pontefice si serviva di officiali relatori per preparare la firma /segnatura di suppliche e commissioni delle cause di grazia o di giustizia, appunto le “due segnature”. La lapide ferrarese elogia il ruolo di Roberto nel combattere la peste a Roma. Papa Alessandro VI lo incaricò infatti di vigilare sul Rione Borgo per evitare il contagio. Nel 1660 fu nominato, non governatore di Tivoli, come si legge talora, ma vicegovernatore, e lo testimonia un diretto conoscente, Francesco Martii, che scrisse una Historia ampliata di Tivoli (Roma 1665) in cui narra pure che il prelato morì a Padova e poi fu sepolto a Ferrara, ma ne parla come cosa del 1662.
VICELEGATO IN CITTA'
Due anni dopo Tivoli, Roberto venne spedito a Ferrara come vicelegato. Altrove, curiosamente, non solo la sua morte si dice avvenuta nel 1662, ma la sepoltura viene proposta nella Cappella del Crocefisso della chiesa romana di Sant’Andrea delle Fratte, decorata dallo scalpellino Giovanni Somazzi, a cura dell’abate Cinzio Accoramboni, figlio di Mario. Un dato da controllare. Forse quello romano è un cenotafio, privo delle spoglie, che sono certo a Ferrara. Si vedrà, scavando nelle carte. La figura più nota fra gli Accoramboni è quella di Vittoria, giovane incantevole, colta poetessa, che sposò nel 1573 Francesco Peretti, il nipote del futuro papa Sisto V. Nozze infelici. Vittoria s’innamorò del truce Paolo Giordano I Orsini. I due ebbero una relazione che condusse all’assassinio del Peretti. Vittoria e Orsini, vedovo di Isabella de’ Medici, prima di ottenere il riconoscimento delle loro nozze dovettero ripetere la cerimonia, sempre annullata d’autorità, diverse volte.
STORIA TRUCE
Nel 1585 Vittoria, di nuovo vedova, venne assassinata dagli Orsini, per basse ragioni di eredità. Accadde nella Padova cara agli Accoramboni che vi studiavano, e dove la dama era fuggita temendo gli spietati e avidi parenti acquisiti. Vicenda segnata da spargimenti di sangue, colpi di scena ed intrighi oscurissimi, fu spunto per la tragedia del 1612 dell’autore elisabettiano John Webster, Il diavolo bianco (Vittoria Corombona), e fu ripresa da Stendhal, Tieck e Venosta, in epoche diverse. Ferrara entra spesso nella narrazione, anche perché il ribaldo fratello di Vittoria, Marcello, era un protetto del cardinale Luigi d’Este. Roberto Accoramboni, certo, era cresciuto sentendo raccontare questa storia di passioni familiari, finita sotto l’ala della morte a Padova, luogo di cupo fato anche per lui. —
(1- continua)
Micaela Torboli
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