Il luogo sacro vittima della storia. Santa Maria della Consolazione prima monastero poi lazzaretto
Costruito all’inizio del ’500, oggi appare trasformato. I quadri dalle mura estensi alle collezioni danesi
Malridotta, sfregiata dal tempo e dalla storia. Vuota dei suoi tesori. Tale appare la chiesa di Santa Maria della Consolazione di via Mortara. Pochi ma attenti gli studi sul tempio, e il volume firmato da Scafuri, Sassu, Ghinato e Savioli nel 2010 allarga e riporta quanto finora edito sull’argomento. L’area su cui sorse l’edificio era ai limiti interni delle mura, al “Cul di Pozzo” (talvolta citato come Val di Puteo o Caldiputeo, luogo romito, umido e maleodorante: putire vale per puzzare), e lì sarebbe avvenuto un miracolo mariano, non dissimile da altri coevi a Ferrara. Attirò l’interesse degli Estensi, stimolati dai frati Serviti ad ampliare un originario, piccolo oratorio.
LA PRIMA PIETRA
A chi affidare il progetto della nuova chiesa? Secondo alcuni, fu scelto Biagio Rossetti. Ma non vi sono carte su cui basare la paternità, si resta nelle ipotesi, e con mille distinguo. La prima pietra fu posta nel 1501. La costruzione ebbe lunghe pause e si chiuse nel 1524. Certo la sfortuna che ha perseguitato nei secoli la Consolazione, fra guerre, epidemie che videro l’edificio e l’attiguo monastero trasformati in lazzaretto per il colera, spoliazioni ed abbandoni, con qualche timido restauro, non hanno contribuito ad avere oggi il polso della pristina situazione. Doveva essere riccamente ornata. Vale ad esempio il fatto che nel 1522 si costruiva l’organo per la chiesa (i documenti furono trovati da Cittadella), tutto dipinto, dorato, e poi rifinito da Tommaso da Carpi, padre di Girolamo.
IN DANIMARCA
L’opera si assemblava però in Palazzo Schifanoia, e per far entrare il fratello del duca Alfonso I, Sigismondo di Ercole d’Este, nelle sale dove si stava eseguendo lo strumento, venne ricavato un varco in un muro, perché Sigismondo si muoveva solo a dorso di mula: era malato e morì due anni dopo, ma voleva dare un’occhiata. Tra le pale della Consolazione, ora ammirabili altrove, alcune hanno storie affascinanti. È il caso della Santa Margherita di Giovanni Battista Benvenuti detto L’Ortolano datata 1524, che si trova da secoli nello Statens Museum for Kunst di Copenaghen. Questa bella opera in tavola centinata venne sottratta alla città a ridosso della Devoluzione, dal principe romano Savelli.
Se Paolo o Federico Savelli non è chiaro, i nobili fratelli erano entrambi militari di carriera, succedutisi l’uno all’altro come Generali dell’Armi papali di Bologna, Ferrara e Romagna. Il principe ebbe il garbo di far eseguire da Jacopo Bambini una copia del dipinto, che fa ancora parte delle collezioni pubbliche ferraresi, per non lasciare un vuoto. L’originale passò poi di mano, e lo ebbe nel Settecento il cardinale Silvio Valenti Gonzaga, Segretario di Stato. Il porporato mantovano si era laureato a Ferrara nel 1710 e quindi ben conosceva l’arte estense e non, essendo peraltro accanito collezionista e fondatore della Pinacoteca Capitolina. Il nostro quadro è stato riconosciuto tra quelli esposti nella galleria del cardinale raffigurata in un celebre dipinto del Pannini datato 1749, oggi ad Hartford, Connecticut. Di lì a poco comunque confluì nelle collezioni reali danesi.
OCCHIO ESPERTO
Durante la sua presenza in Danimarca, nel 1865, il critico d’arte legnaghese Giovanni Battista Cavalcaselle, autore, insieme al collega britannico sir Joseph Archer Crowe, di una monumentale e celebrata storia dell’arte del nord Italia (London 1871), riconobbe per primo la mano dell’Ortolano ferrarese nella Santa Margherita già appartenuta al cardinale Valenti Gonzaga e un tempo alla Consolazione. Era diversamente attribuita. Fu colpito da alcuni particolari tipici della pittura dell’Ortolano, come l’uso energico della luce o la pelle ambrata del viso della martire, anziché un classico pallore. Aveva sviluppato un metodo utile al fine di azzeccare le attribuzioni delle opere d’arte, spesso incerte o improbabili. Per vari motivi la sua intuizione non venne subito pubblicata e si evidenziò solo anni dopo, come spiegato da Fabio Franz in uno studio del 2018 (pubblicato nella rivista MDCCC 1800, vol. 7) L’Ortolano, pittore di mano felice, è stato trascurato dagli studi e abbiamo una sola monografia, scritta da Giuliano Frabetti nel lontano 1966.
CONTRO IL DRAGO
Lo si è confuso con Garofalo, ma era ben diverso da lui. Qui c’è anche un altro problema, il tema della pala. Concorde il parere che sia Santa Margherita, ma si possono proporre alternative, come Marina, Marta, Pelagia, Reparata. Martire in Antiochia nel III secolo, Margherita sconfisse un drago, sopravvivendo a vari tentativi di ucciderla da parte dei pagani, finché fu decapitata. Nel quadro della Consolazione la santa, privata della testa, sta piccina sullo sfondo, tra gli aguzzini. In primo piano la si vede schiacciare a piedi nudi il demonio e paralizzare il drago. Però mancano la palma del martirio, il Crocefisso con il quale aveva trafitto la bestia, una corona di gemme o fiori e il libro che sono spesso attributi di Margherita. Che non sia lei? Ah, saperlo. —
(4- continua)
Micaela Torboli
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