Dal baule dei ricordi al grande schermo Così la vita di Loren è diventata un film
Nel 2016 grazie agli Archeologi dell’Aria di Copparo vennero ritrovati i resti del pilota e dell’aereo abbattuti a Budrio nell’aprile del 1945
LA STORIA
Samuele Govoni
Martin imparò a conoscere suo padre, Loren, attraverso vecchie fotografie in bianco e nero, lettere, dispacci e ritagli di giornale accuratamente custoditi dalla madre. Non si incontrarono mai, Loren morì prima della sua nascita, in Italia, a migliaia di chilometri da casa. In Europa si combatteva la Seconda guerra mondiale e lui, pilota dell’esercito americano, dovette lasciare l’Iowa e partire. Per uno strano scherzo del destino il suo aereo venne abbattuto nell’aprile 1945, pochi giorni prima della Liberazione, nelle campagne del Bolognese. Per anni la madre tenne viva la fiamma del ricordo raccontando a Martin e alla sorella Gretchen chi era il loro padre. Storie e aneddoti vennero poi tramandate ai figli e ai nipoti. A Martin però non bastava sapere che il padre era morto dalle parti di un paesino chiamato Budrio, voleva vedere dov’era successo, saperne di più e, possibilmente, trovare dei resti capaci di testimoniare il tragico evento.
Le ricerche durarono anni e grazie a internet e ai social la famiglia Hintz riuscì a compiere passi da gigante. Nel novembre 2015 grazie alla strumentazione degli Archeologi dell’Aria (associazione con sede al museo La Tratta di Copparo) venne individuato il punto esatto dell’impatto e l’estate successiva, grazie ai volontari Ada e al ricercatore Giampiero Fabbri, vennero recuperati resti del giovane soldato morto settant’anni prima. Martin sapeva che stava succedendo qualcosa di storico e volle documentare tutto il percorso. Chiese a George Knowles di riprendere le ricerche e gli scavi; voleva realizzare un film sulla storia del padre ma morì prima di concretizzare il suo sogno.
La missione però non è caduta nel vuoto e grazie a Pam Percy, la moglie, è da poco uscito il documentario “Finding Loren”. Il film è stato presentato al Bradley Symphony Center di Milwaukee, in Wisconsin, e sta partecipando a diversi festival. In attesa di una proiezione italiana, magari proprio a Copparo, Pam e Gretchen si raccontano alla Nuova Ferrara.
Pam, è stata lei a firmare la regia del lungometraggio. Che lavoro è stato?
«Dopo la morte di Martin ho iniziato a lavorare seriamente. Ho visionato tutto il materiale girato negli anni precedenti, ho letto i diari di Loren, le lettere che aveva scritto e attraverso le parole di Gretchen Wronka e di diversi storici ho scritto la sceneggiatura. Da qui io e Claudia Looze, editor e coproduttore, siamo partite per realizzare il documentario».
Che effetto le ha fatto?
«Dopo aver letto tutto quello che Loren aveva scritto e anche tutto quello che su di lui era stato scritto, mi sembrava di conoscerlo. Ciò che mi ha stupito è stato scoprire quanto somigliasse a Martin anche se non si erano mai incontrati. Entrambi erano scrittori, poeti, uomini gentili e premurosi. Il Dna non mente».
Quanto l’ha impegnata il progetto?
«Tantissimo. Per nove mesi io e Claudia siamo state completamente assorbite da “Finding Loren”, sia per le energie dedicate al film sia per l’impatto emotivo che questo lavoro ha avuto su di noi. È una storia che molti volevano conoscere, abbiamo ricevuto e stiamo ricevuto tanto affetto. C’è anche chi ha donato fondi per supportare la causa».
Gretchen, vostra madre vi raccontava spesso di Loren?
«Sì, mamma era molto orgogliosa di suo marito. Era una donna forte, amorevole e resiliente che ha cresciuto i suoi figli con orgoglio. Era sempre pronta a rispondere alle domande mie o di Martin ma sempre con fierezza, non ha mai cercato rifugio nel dolore o nella compassione altrui».
Esisteva davvero un baule con tutti i cimeli?
«Non era un baule ma un semplice armadietto militare con dentro i carteggi, la divisa di Loren e altri oggetti restituiti alla famiglia dall’esercito dopo la sua morte. A volte io e mio fratello andavamo in soffitta a guardare quelle cose; per noi era importante. Era come sentirlo un po’ più vicino».
Il rapporto nato con i ricercatori italiani va avanti ancora oggi?
«Assolutamente sì, siamo amici. Ci scambiamo messaggi quasi ogni giorno. Siamo grati a Piero Fabbri e ai suoi colleghi del Reno Air Club di Argelato per il loro supporto e per aver coinvolto anche alcuni residenti nel progetto. Grazie a Fabbri ottenemmo i permessi di scavo necessari e gli Archeologi dell’Aria di Copparo ebbero un ruolo fondamentale in tutta l’operazione. Si dimostrarono sensibili e rispettosi».
Pam, per il film è stata composta una colonna sonora ad hoc. Com’è stata l’accoglienza dell’opera?
«Sì, merito di John Sieger. A Milwaukee c’erano quattrocento persone, è andata molto bene. Fino ad oggi siamo stati invitati a Hollywood, New York, Toronto e Cannes. Abbiamo ottenuto tre premi, siamo felici».
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