Ferrara, ricordi popolari del Befanone: una tradizione che sta sparendo
Domani si celebra Sant’Antonio abate, antico momento popolare padano
Ferrara Sant’Antonio abate o “Sant’Antòni dal busghìn” (del maiale): è una delle feste della cultura, della tradizione etno-popolare e della civiltà contadina della Pianura Padana (ma anche di molte altri parti d’Italia nonché di altri Paesi europei, come la Francia) e più amate nei tempi passati che, ormai, fa parte di quelle entrate nel dimenticatoio. Si riferisce al 17 gennaio ed è detto anche il giorno del Befanone, dal “Vción”, e segna un momento dell’anno in cui visibilmente le giornate appaiono allungate, come recita un antico detto dialettal-popolare: Par Santa Luzzia un cul’d guzzia, par Nadàl un pass ad gall, par la Vcéta mezuréta, par Sant’Antòni n’óra bòna (traduzione: Per Santa Lucia una punta d’ago, per Natale un passo di gallo, per la Befana mezz’oretta, per sant’Antonio una buona oretta).
In pratica, un piccolo anticipo, insieme con le gemme già da tempo sui nudi rami degli alberi, precorritore della bella stagione, la primavera, che a breve, arriverà, anche a dispetto dell’ancor pesante momento che stiamo vivendo tutti per il Covid e, in aggiunta, per la guerra.
Come si legge nell’articolo a fianco, ormai sono poche le ricorrenze legate alla festa del Befanone nella nostra provincia. E così, proprio per non dimenticare di ricordare, si propone, a seguire, una simpatica filastrocca, ’na zzirudèla insomma, tra le più vecchie e popolari conosciute, quelle per intenderci, che ci affabulavano i nostri nonni (o bisnonni, perché no?) e che è riportata – magari con qualche variante – in quei preziosi libriccini che l’allora “nazional” editore Sandron (Roma – Bari) emanò nel 1925, intitolati “A l’ombra dal Castèl”, un po’ sussidiari, un po’ libri di lettura, a uso dei bimbi e, magari, anche dei maestri delle elementari di allora.
Il titolo è “Sant’Antòni dal busghìn” (Sant’Antonio del porcellino): chi an gh’è pan e e chi’n gh’è vin: chi’n gh’è légna da brusàr, Sant’Antòni, cóm égna da far? (traduzione: qui non v’è pane né vino: non c’è legna da bruciare, Sant’Antonio come possiam fare?).
Su quei bei testi d’antan scrissero alcuni tra i più grandi autori dialettali, alcuni padri della cultura padana – talvolta firmandosi con un nom de plume, uno pseudonimo (uno “scutmài” in dialetto), come don Artemio Cavallina (Ypsilon), Franz Blitz, al Chichétt da Frara (il conte Francesco Aventi), per non citarne che alcuni.
Dell’ultimo nominato, piace riportare, ancora, “Al Vción”, un sonetto in tema tratto, per l’appunto, dal volume “A l’ombra dal Castèl”, fra le opere poetico – letterarie, conservate nelle raccolte di Ar.pA.dia, l’Archivio padano dei Dialetti del Comune di Ferrara, creato alla fine degli anni Novanta. l
Maria Cristina Nascosi
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