La Nuova Ferrara

L’intervista

Ferrara, Repetto sul palco di ImaginAction: «Ho fatto ordine e riparto da me»

Samuele Govoni
Ferrara, Repetto sul palco di ImaginAction: «Ho fatto ordine e riparto da me»

Con Pezzali ha scritto canzoni diventate simbolo, poi l’America e Parigi. Domani all’Abbado presenterà la sua biografia “Non ho ucciso l’uomo ragno”

18 settembre 2023
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Ferrara Mauro Repetto aveva poco più di vent’anni quando decise di tagliare i ponti con la musica e volare in America per inseguire un sogno. Chi c’era se lo ricorda, chi non c’era se lo può immaginare: quando gli 883 arrivarono sul mercato cambiarono le regole del gioco. Le canzoni diventarono subito hit, tutti le conoscevano e le cantavano, i dischi venduti si moltiplicarono e i videoclip del duo Repetto/Pezzali erano tra i più trasmessi in Tv. “Sei un mito”, “Hanno ucciso l’uomo ragno”, “Nord sud ovest est”, “Con un deca” e “Rotta per casa di dio” sono solo alcuni dei titoli di canzoni che tutti, ma proprio tutti, all’inizio degli anni Novanta conoscevano a memoria. Poi un giorno Repetto decise che forse quella non era la sua strada, voleva cambiare aria e partì per la California. Oggi, dopo anni di silenzio, il compositore ha scelto di raccontarsi e ripercorrere il suo viaggio in “Non ho ucciso l’uomo ragno”, libro scritto con il giornalista Massimo Cotto, edito da Mondadori.

Repetto lo presenterà per la prima volta domani sera a Ferrara nell’ambito di ImaginAction, festival internazionale del videoclip che si terrà anche mercoledì e giovedì (sempre alle 21) al Teatro Comunale Abbado di Ferrara (corso Martiri della Libertà, 5). In attesa di vederlo sul palco lo abbiamo intervistato per saperne un po’ di più del suo ritorno e degli anni passati “in silenzio” lontano dai riflettori.

Una biografia che sembra un romanzo, perché ha voluto raccontare la sua storia?

«Sentivo che era la cosa giusta per me. È stato come fare ordine nella cameretta. A un certo punto arriva il momento in cui si devono sistemare le cose; qualcosa si conserva e qualcosa si butta per fare spazio a ciò che verrà. Rincontrare Salvati mi ha fatto venire voglia di rimettere mano a certe storie, è stato importante per me tornare a parlare di certe cose. È un po’ come quando si ritrovano vecchi giocattoli, magari sono rimasti per anni sotto la polvere ma tu ci sei ancora affezionato e capisci che è arrivato il momento di riscoprirli e lucidarli. Ecco io ho voluto fare così col mio passato».

E com’è stato rimettere mano ai suoi ricordi?

«Quasi un’epifania. Un viaggio nel tempo. Mi sono ricordato di quando io e Max (Pezzali, ndr) per passare il tempo e combattere la noia stavamo in una stanza dalle due e mezza alle sette e mezza a buttare giù parole, a mettere in fila i pensieri, a cercare di raccontare quello che era successo in discoteca, al bar o semplicemente per la strada».

Le prime bozze, lo studio d’incisione e i dischi: com’è stato?

«Un mix di fattori quasi magico. Incontrammo Claudio Cecchetto che era ed è il Walt Disney italiano della musica e con Pier Paolo Peroni e Mario Guarnerio nacque il sound degli 883. Io e Max volevamo raccontare quello che vivevamo, fare la cronaca quotidiana di un’esistenza post-adolescenziale in una cittadina di provincia. Le nostre suggestioni hanno trovato concretezza anche grazie a questi incontri formidabili».

Ha un ricordo particolare legato all’uscita degli album?

«Io e Max eravamo due ragazzi normali, frequentavamo l’università. Ricordo che una mattina mentre andavo a lezione sentii da una delle finestre dell’ateneo “Non me la menare” e mi fece un effetto incredibile. Sentire quel brano, il nostro brano, uscire dalle finestre di un luogo così tradizionale e rigoroso fu molto impattante per me. Lo ricordo bene».

Perché ha scelto di mollare tutto e partire?

«Per inseguire un sogno. Per noi ragazzi degli anni Ottanta il sogno americano era veramente un sogno e quindi lasciai l’Italia per Los Angeles, città che mi aveva sedotto in maniera quasi cosmica. Le canzoni che sentivamo alla radio, i film che vedevamo al cinema, gli attori, Hollywood… quel mondo faceva parte del nostro immaginario. Viverci non fu facile, ad un certo punto decisi di lasciare tutto e ripartire dall’Europa e mi trasferii a Parigi».

Perché proprio Parigi?

«Ho sempre avuto il pallino delle metropoli ma avevo bisogno di una città più vicina. Rialzarsi da una caduta a New York o Los Angeles può essere difficile, in Europa invece c’è comunque una sensazione di “casa”. Avevo voglia di fare una vita normale, con orari regolari, e sono diventato manager a Disneyland Paris».

Che rapporto ha con la musica oggi?

«Sono un grande appassionato, un consumatore accanito. La musica mi fa stare bene a livello fisico e mentale, è come una terapia. Mi piacciono i videoclip, il linguaggio che ha e le storie che si creano. Ascoltare musica per me è fondamentale per stare in equilibro, mi regala emozioni vere».l

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