Ferrara, umanità e fede sugli Appennini. Righi: «Tutto parte dall’Emilia»
Da lunedì al cinema Apollo c’è il film “Il vento soffia dove vuole”
Ferrara Nel 2012 aveva raccontato l’adolescenza, l’amore e i turbamenti della crescita ne “I giorni della vendemmia”, film ambientato a Reggio Emilia nell’estate del 1984. Oggi, a distanza di oltre dieci anni, Marco Righi torna al cinema con “Il vento soffia dove vuole”. Siamo sempre in Emilia, non più in pianura ma sugli Appennini.
“Il vento soffia dove vuole” è un racconto di invenzione che esplora i temi del sacro. Attraverso le vicende di Antimo (Jacopo Olmo Antinori) e dei personaggi che lo circondano, il film pone gli spettatori di fronte a un evento misterioso e a una scelta radicale, lasciando loro la libertà di interpretare l’uno e l’altro secondo la propria sensibilità. Da lunedì 11 a mercoledì 13 il film sarà all’Apollo Cinepark di Ferrara (via del Carbone, 35). In vista delle proiezioni il regista si racconta.
Righi, come nasce “Il vento soffia dove vuole”?
«Nasce da degli elementi che si sono “intersecati” tra loro: un fatto di cronaca locale del Reggiano (che mi ha coinvolto da lettore per diversi mesi), il vissuto – la mia educazione – e da letture e visioni che hanno tentato di esplorare proprio questa sfera del sacro e mi hanno fortemente influenzato in fase di scrittura».
Perché ha scelto di affrontare il tema del sacro?
«Il desiderio, la colpa, la salvezza. La fede nell’esperienza terrena dell’uomo, l’atto del credere, prima ancora del Credo religioso. Le domande ataviche che ci poniamo sull’esistenza quasi quotidianamente; il dolore, la morte. Per questa ragione il tema del sacro ha avuto – e ha tuttora – su di me una fascinazione».
Chi sono i protagonisti e con cosa si confrontano?
«Antimo, il protagonista, si confronta ogni giorno con la sua ossessione verso Dio. Lazzaro, probabilmente, con la solitudine. Marta con il desiderio di “andare oltre” il borgo dove abita. Miriam con la consapevolezza di poter essere maggiormente indipendente da Antimo e nella propria vita; per diventare donna».
L’opera continua nel solco de “I giorni della vendemmia”?
«A livello di messa in scena, sicuramente… con qualche radicalismo in più. Per quanto concerne i tempi, parzialmente, anche se è vero che nella mia opera prima affrontavo già i tempi della provincia e del cattolicesimo».
Cos’è stato per lei quel film e cosa le ha lasciato?
«Un’avventura, una scoperta fatta quando non avevo ancora 25 anni! Mi ha lasciato, oltre che bellissimi ricordi, un bagaglio di esperienza su un set super indipendente, di cui ho potuto fruire per questa mia opera seconda».
Lavorando a questo nuovo progetto ne ha in qualche modo “sentito il peso”?
«No, anzi, è stato tutto sommato un grosso vantaggio. È naturale – poi – che si senta anche un maggiore senso di responsabilità, di poter fare nuovamente un buon lavoro, ma non mi ha “pesato”».
C’è qualcosa di lei in senso biografico in questo film?
«Sì, alcune cose. La più rilevante è la perdita di mia madre, che è avvenuta nel 2015».
La sfida maggiore?
«In termini di regia: dare “spessore” ai personaggi (inclusa la loro psicologia) in un film drammatico e indipendente. Però ho avuto la fortuna di trovare attori talentosi e persone mature che mi hanno agevolato il compito».
Prima la pianura, ora la montagna. Che rapporto ha con la sua terra? Influisce sul racconto?
«Certamente, è stata un presupposto di partenza di entrambi i film che ho girato. Il mio rapporto personale con essa è conflittuale e volubile, anche se quando penso alle mie storie, ne esce per lo più solo amore indiscriminato».
Per informazioni e biglietti: 0532.762002.
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