La Nuova Ferrara

L’intervista

Bignardi si racconta da Libraccio: “Io e Ferrara ci amiamo ancora”

Samuele Govoni
Bignardi si racconta da Libraccio: “Io e Ferrara ci amiamo ancora”

Domani presenterà "Ogni prigione è un’isola", con lei Anselmo e Cucchi. L’autrice: «Nuove carceri? Sarebbe meglio sistemare quelle che ci sono»

12 giugno 2024
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Ferrara Daria Bignardi torna a casa. La giornalista e scrittrice ferrarese domani alle 18 sarà da Libraccio (piazza Trento e Trieste) per presentare "Ogni prigione è un’isola", il suo ultimo libro edito da Mondadori. A dialogare con lei ci saranno l’avvocato Fabio Anselmo e la senatrice Ilaria Cucchi. «A un certo punto - aveva raccontato alla Nuova in occasione dell’uscita dell’opera - ho deciso di condividere le esperienze che ho fatto in questi 35 anni che frequento carceri, detenuti, ex detenuti, direttori, agenti. È un mondo parallelo al nostro. Nascosto eppure - per molti aspetti- identico alla vita vera». Siamo ripartiti da qui.

Daria, quando ha sentito che era arrivato il momento di raccontare quel mondo parallelo?

«Un paio d’anni fa, apparentemente per caso come tutte le cose davvero imprescindibili».

Detenuti e agenti, c’è comprensione tra le parti?

«Nessuno capisce meglio i problemi degli agenti dei detenuti, in fondo vivono insieme e condividono la stessa condizione estrema. La stessa cosa accade agli agenti nei confronti dei detenuti. Ma quanto più in un carcere si sta male, tanto più i rapporti sono difficili».

Cosa significa, secondo lei, vivere e lavorare in carcere?

«Per gli agenti è un lavoro durissimo, poco riconosciuto, poco formato e poco pagato. A volte è un ripiego. Quando invece è un lavoro frutto di una scelta meditata e consapevole, e questo vale per agenti, educatori, medici, criminologi, può dare grandi soddisfazioni. Per certi lavori, fare l’insegnante, l’agente o l’infermiere, servirebbe una vocazione».

Sessantamila detenuti e si parla di costruire altre carceri, sembra che la detenzione sia l’unica soluzione possibile. Cosa ne pensa?

«Un terzo delle persone in carcere sono in attesa di giudizio. Un terzo o più sono tossicodipendenti, malati. La maggioranza dei detenuti sono persone malate, povere e sole. L’ex direttore Luigi Pagano, che ha lavorato nelle carceri 40 anni, dice che di sessantamila forse avrebbe senso ce ne stessero seimila. Quindi più che costruire nuove carceri bisognerebbe alleggerire e migliorare quelle che ci sono».

Nel corso degli anni ha incontrato non solo detenuti ma anche detenute, come vivono le donne in prigione?

«Le donne sono poche, il quattro per cento della popolazione detenuta, e vivono malissimo, peggio degli uomini. Sia per la sofferenza di essere separate dai figli sia perché spesso, a differenza degli uomini, fuori non hanno nessuno che si prenda cura di loro, mandi pacchi, venga a trovarle, le pensi».

Quindici anni fa usciva "Non vi lascerò orfani", il suo primo romanzo. Che ricordo ha di quel periodo?

«Sentivo che quel libro era la cosa più importante, intima e spudorata alla quali avessi mai lavorato».

Torna spesso a Ferrara o ormai accade sempre più di rado? La sente ancora come la sua città? Sa ancora di casa?

«Torno sempre, mi commuove sempre, mi fa sempre arrabbiare, quindi ci amiamo ancora. Ferrara è una condizione dell’anima. Metafisica, struggente, dolce, lenta, a volte irritante. Somiglia moltissimo a una parte di me alla quale sono legata indissolubilmente».

Sta già pensando ad altre storie da raccontare?

«Penso sempre a storie da raccontare. Raccontare è la cosa che più mi appartiene da quando a cinque anni insieme a mio fratello, il gatto Micione, nella mia cameretta con vista sulla Darsena guardavamo i conigli che correvano nel prato del consorzio agricolo di fronte, quello che ora ospita la Scuola di Musica Moderna, e io immaginavo le loro storie, quelle dei camionisti che entravano e uscivano dal cancello, e non vedevo l’ora di conoscere il mondo, per raccontarlo poi a qualcuno».

Ingresso libero fino a esaurimento posti.