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Il festival

Javier Girotto a Comacchio tra tango e jazz: «Amo mettermi in gioco»

Nicola Vallese

	Javier Girotto (foto Azzurra Primavera)
Javier Girotto (foto Azzurra Primavera)

Dall’Argentina agli Usa all’Italia: il noto artista si racconta in vista della sua partecipazione a Mare di Musica. «Ci sono tanti musicisti bravi, servono posti dove suonare». Venerdì il concerto ai Trepponti

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Comacchio Sarà Javier Girotto l’ospite d’onore della manifestazione Mare di Musica che si svolge a Comacchio e ai Lidi fino a domenica. Nato il 17 aprile 1965 a Córdoba, Argentina, è un sassofonista, compositore e arrangiatore argentino naturalizzato italiano. Nel 1991 si trasferisce in Italia, stabilendosi a Roma, dove avvia una prolifica carriera musicale. Nel 1994 fonda il gruppo Aires Tango, che intreccia jazz e tango argentino, pubblicando numerosi album e ottenendo riconoscimenti internazionali. Collabora con artisti come Daniele Di Bonaventura, Luciano Biondini, Peppe Servillo e Fabrizio Bosso.
Quali sono stati i passaggi decisivi della sua carriera?
«Ogni incontro, come nella vita, ti mette su una corsia diversa. Per me è sempre stato in positivo e, anche quando si è rivelato essere in negativo, ho trovato il modo di imparare qualcosa di nuovo. Forse il passare dall’Argentina agli Stati Uniti è stato il più grande cambiamento così come trasferirsi da lì in Europa. Partendo dal mio luogo natale, lavoravo già molto con la musica leggera, anche se parallelamente cercavo di imparare il più possibile dal mondo del jazz da autodidatta, visto che non c’erano luoghi accademici che permettevano di imparare l’uso del sassofono».
Anni di scoperte e cambiamenti, cosa ricorda?
«Negli anni ’70 e ’80 non c’era l’informazione di oggi e facevi come meglio potevi. Grazie ad una borsa di studio della Berklee mi sono poi trasferito negli Usa. Lì, con la Professional Music ho intrapreso una carriera forse un po’ banale ma, per me che non avevo mai studiato, è stata importante. Poi, grazie al fatto di avere nonni italiani, ho avuto la cittadinanza in Italia; arrivato qui ho trovato un mondo molto simile all’Argentina anche come stile di vita: è stato amore a prima vista».
L’accoglienza fu buona?
«Assolutamente sì e, musicalmente parlando, trovai subito un ottimo livello al mio arrivo nel 1991. Da lì in poi iniziai a scrivere musica coinvolgendo vari artisti e, pian piano, un incontro chiama l’altro, fino a che, ad un certo punto, ho iniziato a mescolare i due mondi: il jazz nordamericano con la musica tradizionale argentina e da qui sono iniziati tanti progetti».
Uno di quelli che ha avuto maggior successo è Aires Tango. Come è cambiata nel tempo la percezione di questa “fusione”?
«È il gruppo più longevo oltre ad essere quello di cui vado più fiero dato che quest’anno festeggia 31 anni. Quando iniziammo nel 1994 non si parlava ancora molto di tango in Italia. Un po’ è stata una cosa voluta per lo stile che stavo affrontando e che mi piaceva e poi, nel 1996, è esplosa la moda. Questo ci ha portato fortuna oltre che attenzione: in quel periodo abbiamo suonato tantissimo».
L’affiatamento tra voi è cambiato negli anni?
«No ma ognuno di noi segue progetti diversi ma continuiamo a portare avanti il tutto. L’anno scorso abbiamo fatto un disco per festeggiare i 30 anni e la scrittura è stata impegnativa perché ho provato a trovare un nuovo punto di ricerca. Mi piace mettermi sempre in gioco con nuove cose. Se mi fermo un po’ e mi adagio su quanto già fatto, mi annoio e mi sembra quasi di timbrare il cartellino. Sono sempre aperto nel fare cose nuove che mi possono anche mettere in difficoltà e andare avanti».
Nel corso della carriera ha collaborato con tantissimi artisti. C’è qualcosa di nuovo all’orizzonte?
«Con alcuni di loro suono ancora, come ad esempio Fabrizio Bosso con cui presenterò il disco “Latin Mood” in uscita il 31 luglio alla Piazza del Jazz. Con Peppe Servillo abbiamo sempre quel famoso trio (Servillo, Girotto, Mangalavite, ndr) e un progetto in cui c’è anche Bosso, MarcoTulli e Furio Di Castri nel quale ho fatto una rivisitazione dei brani di Lucio Battisti. Sono contento del risultato che presenteremo il 27 giugno».
Parlando di giovani, oggi la fruizione è cambiata molto: tra playlist e piattaforme l’ascolto si è fatto sempre più veloce. È un bene o un male?
«So che i lavori che faccio hanno una vita molto corta. Purtroppo non c’è quasi nessuno che ascolta musica. E mi ci metto in mezzo anche io; per fortuna ho una macchina col lettore cd che mi permette di ascoltare i dischi, anche quelli che mi danno gli artisti che incontro: per me è un segno di rispetto. Purtroppo i ragazzi corrono troppo e tanti non sanno quella che è stata la musica del passato. Altra cosa terribile che vedo è il fatto di dover accompagnare ogni canzone con un video. Sembra che la musica sia solo sottofondo. Una volta si ascoltava e basta».
Cosa consiglierebbe a chi vuole intraprendere un percorso musicale?
«Ci sono tanti bravi musicisti... Purtroppo, rispetto al passato, è diminuita la domanda ma si è triplicata l’offerta. Dispiace vedere che gli organizzatori di vari eventi non rischiano più con nomi sconosciuti dando loro l’opportunità di esibirsi. Io sono aperto alle collaborazioni con i giovani per dare loro le possibilità che ho avuto anche io».
Concerto venerdì alle 21.30 ai Trepponti di Comacchio.