La Nuova Ferrara

L’intervista

“Penso di avere un problema serio”. È uscito il primo libro di Edoardo Righini

Stefania Andreotti
“Penso di avere un problema serio”. È uscito il primo libro di Edoardo Righini

Il ferrarese dai social all’esordio letterario con gioie e dolori della generazione Y, «ma non ditemi che il protagonista sono io»

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Ferrara «Per decidere di cimentarmi nella scrittura è stato illuminante il messaggio della mia professoressa di italiano del liceo Ariosto. Bellissimo fare i video, mi ha detto, ma ricordati che la levitas, se non è affiancata da un po’ di gravitas, rischia di volare via, rimanere inconsistente». È così che il ferrarese Edoardo Righini ha deciso, dopo aver più volte declinato l’offerta, di accettare la proposta della casa editrice Mondadori di passare dai contenuti per i social alle pagine di narrativa con la sua opera prima “Penso di avere un problema serio”, uscito a inizio luglio. «Volevo fare qualcosa di concreto, che se lo lanci fa male», dice con l’ironia gigiona, ma tagliente che i suoi oltre 280mila follower hanno imparato a conoscere bene.

«Il ritratto spietato ed esilarante di una generazione che sta invecchiando, anche se continua a mettersi la felpa, che vorrebbe emanciparsi, ma non sa bene né come fare, né se può davvero farcela, incastrata in uffici e vite fantozziane dissimulate sotto imperscrutabili nomi inglesi che fanno figo (così sembrerebbe). Una generazione che deve ancora decidere che direzione prendere: andare o tornare». Così Edoardo ha presentato la pubblicazione dal suo profilo Instagram, dove con brevi video racconta gioie e dolori di un trentenne ferrarese trapiantato a Milano. Un po’ come Lorenzo, il protagonista del libro. «Anche se io – ci tiene a precisare Righini – non ho voluto scrivere un’autobiografia».

Quali erano allora le sue intenzioni?

«Non volevo parlare della mia vita, non sono Messner, ho un’esistenza normalissima, a tratti miserabile. Non volevo che il libro raccontasse solo di me a me, ma che tanti ci si potessero riconoscere. Sebbene il contesto sia Milano e il protagonista sia un trentenne che lavora in un’agenzia di comunicazione, è diverso da me, ispirato da ciò che ho osservato, che mi hanno raccontato, dalle persone che ho conosciuto e frequentato. Anche se molti mi riconoscono in Lorenzo e dicono che hanno letto il libro sentendo la mia voce nella testa, io lo trovo insopportabile, è un personaggio odioso, che per parte del libro ho detestato... non ditemi che sono io».

Qual è la storia?

«Lorenzo ha quell’età fatale in cui non dovresti più essere considerato una giovane promessa, non hai abbastanza esperienza per essere un venerato maestro, ma ti trattano sempre come il solito stronzo (specialmente quando chiedi un aumento). Hai un discreto lavoro in una grande città, “con grandi margini di crescita”. Hai una discreta fidanzata, alla quale potresti fare l’abitudine. Dopo anni, ogni cosa sembra sul punto di andare al suo posto. E, invece, tutto crolla. Resistere nonostante tutto o ritirarsi nella Provincia lasciata anni fa? In tanti raccontano di partenze piene di speranze e prospettive, inseguendo il mito di fondazione dell’esplorazione. Io invece volevo raccontare di un ritorno, di chi è partito per cercare la felicità e non l’ha trovata, doveva spaccare a Roma, Londra o Parigi e non ce l’ha fatta e torna, con quella percezione di fallimento. E di come ci si può riadattare a una dimensione più piccola, con i genitori, gli amici cresciuti lontano da te. Mi piaceva poter indagare questo movimento inverso, che ha meno attenzione rispetto ai cervelli in fuga».

Tornare a Ferrara è qualcosa a cui ha mai pensato?

«Durante il Covid anche io ci ho pensato, l’ho visto fare a tantissime persone partite pensando che il loro posto fosse altrove, poi hanno capito che no. Non è necessariamente un fallimento anzi, alcuni ritornano più contenti e consapevoli, altri con l’amaro in bocca, ho parlato con tanti di loro per preparare la stesura».

La Provincia, con la “p” maiuscola di cui parli è quella ferrarese?

«È piuttosto un luogo generico, che può essere Ferrara, Caltanissetta, Vigo di Fassa, la periferia di Livorno, in fondo l’Italia è tutta un paese di provincia».

A un mese dall’uscita, quali le prime reazioni?

«La recensione più bella l’ha fatta mio fratello, dicendo che è un libro “piovoso”, non solo perché si apre sotto un acquazzone, ma perché è divertente, con momenti di cinismo e malinconia. Nella scrittura ho pensato a lui e alla mia ragazza, due persone molto in gamba, ma che leggono poco: come fare a invogliarle? Ho inserito frequenti dialoghi e scambi di battute, quasi una sceneggiatura teatrale, e le digressioni le ho affidate alle note, per non spezzare il ritmo. Alla fine, hanno apprezzato».

Infine, un appello ai lettori della Nuova.

«È una grande gioia vedere il libro in vetrina sul Listone, di fianco a Bassani e al premio Strega, ma non mi ritengo uno scrittore, piuttosto uno scrivente e mi scuso se non piacerà. A chi avrà comunque voglia di leggerlo, chiedo: qual è, secondo voi, il problema serio di Lorenzo? Io non l’ho capito, fatemelo sapere attraverso i social». Alla fine, il writer strizza l’occhio al content creator, come direbbero a Milano.

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