Collettivo Cinetico, da Ferrara a Torino col nuovo “Abracadabra”
Giovedì 2 ottobre il debutto. Pennini: «Scena scarna e meravigliosa allo stesso tempo»
Ferrara Il Collettivo Cinetico, compagnia partita da Ferrara per conquistare il mondo del teatro danza, torna, o sarebbe meglio dire “riappare”, con “Abracadabra”, che domani debutta alle Fonderie Limone di Moncalieri, per il Festival Torinodanza 2025, dove sarà in scena fino a sabato, per poi approdare il 30 e 31 ottobre all’Arena del Sole di Bologna. Abbiamo chiesto alla coreografa e performer del gruppo, Francesca Pennini, di raccontare in anteprima a la Nuova Ferrara come nasce questa nuova produzione.
«Con la parola “Abracadabra”, che significa “io creo come parlo”. Ho lavorato a cavallo tra corpo e parola dove questa congiunzione è spesso incarnata dalla voce, e ho lavorato molto con i corpi invisibili, con l’invisibile in quanto immaginario, con l’invisibile in quanto voce».
Qual è lo spunto iniziale del progetto?
«Un esercizio di sparizione. Sono andata via per 130 giorni, annunciando la sparizione come atto concettuale, poetico, scelta di sottrazione dalle scene e dal mondo. A nessuno ho detto dov’ero, nemmeno ai miei genitori, alle persone a me più vicine. Sono stata senza telefono, senza computer, in modo molto radicale, e questo è diventato un atto di creazione, di immaginazione, perché grazie al mistero ero in tutti i posti in cui le persone immaginavano che fossi».
Di tutto questo, cosa arriverà in scena?
«Queste fantasie sul dove fossi, tutte ugualmente valide, vengono fatte coesistere in scena. Quindi diventa uno spettacolo sul senso stesso della verità, sull’assenza e la presenza, su un corpo che come quello delle donne nella magia, viene fatto a pezzi. In questo caso letteralmente, perché nella mia esperienza personale ho un vissuto corporeo molto difficile, costellato da infortuni, rotture, incidenti, rischi di morte».
Qual è per te il senso profondo della sparizione?
«La sparizione, ma anche il lavoro sulla realtà si declinano in tanti modi, vanno a toccare anche l’ambito psicologico, la dimensione della pazzia, dove sta il reale nella dimensione della malattia mentale o del corpo, visioni soggettive, ma altrettanto vere, anche se non coincidono con una verità comune. La magia diventa anche un modo per ragionare su questo, in modo molto intimo».
Mentre in altri spettacoli avete scelto di dare rilievo al puro gesto, qui torna al centro la parola, in che modo?
«C’è una componente importante di testo, anche nelle forme dello spoken word, di un lip sync che è quasi possessione dei corpi attraverso la voce».
Come lo descriverebbe?
«È un testo drammaturgicamente molto articolato, che gioca tra l’italiano e l’inglese dove però non c’è mai veramente la forma della traduzione, ma è tutto un tradire la lingua, dandole altre possibilità. Nello spettacolo gioco tra l’infanzia come possibilità di spazio dell’immaginazione, la scrittura come corpi a distanza che dialogano e questo legame molto forte con il Canada perché per me è sempre stato il luogo in cui avrei voluto vivere. Così ci sono andata, alla ricerca di questo amico di penna di nome Patrick, che chiamavo P. Alla fine dello spettacolo si scoprirà cosa è successo».
Come avete concepito lo spazio scenico?
«La scena è allo stesso tempo scarna e meravigliosa. C’è una dimensione di desolazione che poi si apre a inaspettate epifanie. Lavoro moltissimo con tutto ciò che è impalpabile, da quello che è nell’aria come corpo aereo, a partire dal respiro dello spettatore e del suo pensiero, che è il protagonista dello spettacolo. Ma anche fumo, c’è tutto questo parallelismo tra la voce, il fumo e il suono, tutto ciò che è invisibile e diventa materia anche visibile in scena attraverso escamotage scenografici, varie invenzioni, alcune semplicissime, altre incredibili».
Chi è stato coinvolto nella realizzazione di questo nuovo allestimento?
«Le persone con cui ho lavorato fanno parte della squadra tipica di Collettivo Cinetico, con delle collaborazioni in più. In scena ci sono io, ma il mio partner in crime è Angelo Pedroni. C’è Carmine Parise dietro le quinte, i costumi sono di Maria Ziosi, le scenografie di Alberto Favretto, le luci di Alice Colla, le musiche originali molto potenti sono di Simone Arganini. Quindi davvero una bella squadra».