La Nuova Ferrara

L’intervista

Nicola Mari racconta il “suo” Dylan Dog: «Disegnarlo è sempre come la prima volta»

Samuele Govoni
Nicola Mari racconta il “suo” Dylan Dog: «Disegnarlo è sempre come la prima volta»

L’Indagatore dell’incubo nei disegni del fumettista ferrarese

4 MINUTI DI LETTURA





Ferrara Nelle tavole di Nicola Mari c’è l’anima di Dylan Dog. Nei suoi disegni c’è tutta l’inquietudine, l’eleganza, il terrore (ma anche l’umorismo) dell’indagatore dell’incubo. Le espressioni dei personaggi parlano al lettore e i dettagli sono curati in maniera scientifica, nulla è lasciato al caso. Il fumettista ferrarese, da anni nella scuderia Bonelli, principalmente per Dylan Dog ma anche per Daryl Zed (altro personaggio nato dalla mente di Tiziano Sclavi), ha dato un’impronta, un’identità propria, a personaggi mitici. L’Old Boy di Mari è riconoscibile, resta impresso nella mente. Nei giorni scorsi è uscito “Ai confini del crepuscolo”, con i suoi disegni e a fine mese uscirà “Una forma reversibile di morte”, nuovo albo che può contare sul suo tratto. Tra una tavola e l’altra il fumettista si è raccontato ai lettori della Nuova Ferrara.
Cosa significa per lei dare corpo alle sceneggiature di Dylan Dog?
«Significa mantenere lo spirito e l’essenza dell’universo di Dylan Dog: per scrivere e disegnare Dylan, è necessario essere naturalmente “dylaniati”, ovvero possedere un senso dell’ironia che non scongiuri l’orrore, ma che lo riconfiguri in una modalità inattesa, forse la stessa che appartiene alla parte più recondita del nostro animo».
Ricorda la sua prima tavola di Dylan Dog? Quando è stata? Era emozionato?
«Realizzai la prima tavola di Dylan esattamente trent’anni fa, ma è come se fosse trascorso un minuto; in tal senso, poiché la memoria si nutre dell’oblio, conservo ancora vivida la particolare sensazione della “prima volta” che, come nelle cose d’amore, si rinnova quando disegno una nuova storia di Dylan».
Quando e come nasce la sua passione per il disegno?
«Potrei dire che nasce insieme alla mia persona; poi, intorno ai quattro anni, la scoperta dei fumetti diede una direzione e una collocazione precisa alla mia inclinazione per il disegno».
Cosa significa disegnare una storia di Dylan Dog?
«Innanzitutto significa assumersi la responsabilità che ogni lavoro comporta in termini di qualità e puntualità, ma senza che ciò penalizzi l’elemento espressivo ed evocativo presente in ogni racconto».
Personaggio preferito?
«Dylan Dog, mi piace pensare, per un motivo di “affinità elettive”».
Ha lavorato anche a Daryl Zed. Come lo descriverebbe? Le sarebbe piaciuto che avesse un’estensione diversa?
«Amo Daryl Zed, come del resto ogni creazione di Tiziano Sclavi. Il modo migliore che ho per descrivere Daryl Zed sono i disegni, che ritengo il mio vero canale di comunicazione. Per quanto riguarda l’estensione di Drayl Zed, se la intendi come proseguo di una testata che lo riguardi, certamente sarebbe bello riprendesse».
Quando ha cominciato a leggere i fumetti?
«Ho iniziato a quattro anni con i fumetti che trovavo a casa di mio zio, quindi posso affermare di aver letteralmente imparato a leggere grazie ai fumetti. Mio zio comprava regolarmente i fumetti dell’epoca – siamo nei primi anni Settanta -, quindi “l’Intrepido” e “Il Monello”, che ospitavano i lavori straordinari di Dino Buzzelli e di Giovanni Freghieri e Corrado Roi (quest’ultimi oggi amici e colleghi), poi “Skorpio” e “Lanciostory” dove ho incontrato i grandi maestri spagnoli e argentini come Enrique Breccia, la cui lezione per me resta decisiva. Poi arrivarono le formidabili collane “Un uomo un’avventura” e “La storia del west” in cui incontrai altri giganti del fumetto, i supereroi Marvel e Dc, gli anime con Goldrake e Capitan Harlock e il mio amore per i fumetti non ha più smesso di crescere, motivo per cui seguito ancora a leggerne».
C’è una storia, da autore e o da lettore, a cui è particolarmente legato?
«Poiché il mio lavoro sorge dalla passione di lettore, autore e lettore sono in me un tutt’uno. Ma sforzandomi di compiere una scissione, come autore amo “Phoenix” perché è il mio primo Dylan e perché è scritto da Tiziano Sclavi, motivo per cui sono molto legato anche a “I Racconti di Domani”. Poi “La mano sbagliata”, il primo Dylan insieme a Barbara Baraldi, scrittrice e ora curatrice di Dylan Dog, incontro umano e artistico tra due “dylaniati” che evidentemente attendeva di realizzarsi».
E come lettore?
«Come lettore, le prime storie che mi vengono in mente, tra le tante che amo, sono “Memorie dall’invisibile”, “Storia di nessuno” e “L’alba dei morti viventi”, da cui partì la rivoluzione culturale determinata dal genio di Tiziano Sclavi».
Adesso a che cosa sta lavorando?
«Ad una nuova storia di Dylan Dog».