La Nuova Ferrara

Il nuovo libro

Daria Bignardi torna con “Nostra solitudine”, un viaggio dentro e fuori di sé

Samuele Govoni

	Daria Bignardi (foto Claudio Sforza)
Daria Bignardi (foto Claudio Sforza)

L’autrice ferrarese si racconta: «È importante capire cosa c’è fuori per comprendere chi siamo»

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Ferrara Si intitola “Nostra solitudine” (ed. Mondadori) il nuovo libro di Daria Bignardi, da oggi in tutte le librerie. La scrittrice e giornalista ferrarese, torna sugli scaffali a un anno e mezzo di distanza da “Ogni prigione è un’isola”, e lo fa con un’indagine sulla vita e sulla difficoltà, ma anche la bellezza, di stare al mondo. Dietro a queste pagine ci sono viaggi intercontinentali e incontri singolari, luoghi lontanissimi, eppure in un certo senso familiari. Nonostante racconti le oppressioni del nostro presente – globalizzazione, occupazione, guerra, patriarcato – questo è un libro intimo e personalissimo, pieno di felice tormento. Delle origini di questo lavoro, e di tanto altro, abbiamo parlato proprio con Bignardi.
Daria, come nasce “Nostra solitudine”?
«Ci giravo intorno da anni, anche prima di scrivere “Libri che mi hanno rovinato la vita” e “Ogni prigione è un’isola”. Questo libro è come se completasse i pensieri e i temi sui quali ho lavorato per quei due libri, ma in senso più universale. Ho cominciato a scriverlo in Vietnam. Una sera che camminavo da sola per Can Tho, una città sul fiume Mekong, ho incontrato un pappagallo parlante e poco dopo un venditore ambulante che vendeva il “pateso”: la cosa più simile al nostro pasticcio di maccheroni che abbia mai assaggiato. Da lì ho iniziato a scrivere questa storia e non ho più smesso».
È stata una conseguenza del materiale raccolto durante i viaggi o è partita proprio con l’idea di raccogliere materiale per un nuovo libro?
«Ho iniziato in Vietnam ma quando sono tornata ero ossessionata dalle notizie che arrivavano dalla Cisgiordania sugli scambi dei prigionieri palestinesi e israeliani di gennaio. Ho sentito che in qualche modo mi riguardavano, che dovevo parlare con quelle persone e raccontarle. Dopo due mesi sono partita e ho fatto molti più incontri ed esperienze di quel che mi aspettavo. E anche in un’altra direzione rispetto a quella dove pensavo di andare».
Ha raccontato tutto o ci sono stati incontri, o momenti, che ha scelto di tenere solo per lei?
«Tutte le cose più significative le ho scritte. Anche quelle più controverse».
Se dovesse presentarlo nel suo podcast “Parlarne tra amici?”, al di là dell’accenno fatto in una recente puntata, come lo definirebbe?
«L’autrice fa un viaggio dentro e fuori di sé alla ricerca del senso e delle cause della solitudine, un sentimento sempre più avvertito a ogni età. Lo fa con vitalità e leggerezza anche quando parla di situazioni pesanti: traumi personali, guerre, oppressioni. Finché un giorno, negli occhi di un gorilla…».
Un libro pieno di incontri, storie e vita. La cosa più emozionante che ha vissuto nel corso della lavorazione?
«Ce ne sono state tante. Ma il momento in cui il cuore del neonato si è fermato, durante l’operazione alla quale stavo assistendo in Uganda, ed è entrata in funzione la macchina del perfusionista, mi è sembrato che anche il mio smettesse di battere».
Perennemente connessi ma sempre più soli. Come stiamo oggi? Cosa vede intorno a lei?
«Vedo tanti rischi e tante opportunità. L’importante è cercare di capire cosa c’è là fuori, in che mondo stiamo vivendo. Perché ci sentiamo come ci sentiamo. E soprattutto il fatto che molte delle emozioni che viviamo non riguardano solo noi e hanno cause sociali ed economiche di cui è importante essere consapevoli».
Com’è il suo rapporto con i social network? È cambiato nel tempo?
«Non è un rapporto molto stretto, ma ad alcuni, come Whatsapp, non riesco a rinunciare, anche se – come racconto nel libro- ogni tanto ci provo».
Per scrivere “Ogni prigione è un’isola” si era rifugiata proprio su un’isola. Anche per “Nostra solitudine” ha cercato un luogo speciale?
«Ne ho cercati tanti: il Vietnam, la Cisgiordania, l’Uganda. E poi ho scritto per un anno ovunque fossi».
La solitudine però, diciamolo, non ha sempre per forza un’accezione negativa, lei come la vive?
«Ho scoperto che è anche preziosa e necessaria. Come scriveva Emily Dickinson che viveva una solitudine affollatissima: “Sarei forse più sola senza la mia solitudine”».
L’11 novembre presenterà il libro a Ferrara, c’è anche un po’ della sua città tra queste pagine?
«Ferrara c’è sempre. Non credo sentirei come sento se non fossi cresciuta nel silenzio. Nel libro parlo anche di come sto bene sui fiumi, dal Mekong al Rio delle Amazzoni: credo venga dalla nostra vicinanza al Po e soprattutto alla Darsena che vedevo scorrere dalla mia finestra quando ero bambina. Ho chiesto a una poetessa e traduttrice ferrarese che stimo tanto di dialogare con me in libreria: Monica Pavani. Non vedo l’ora di scambiare pensieri con lei sulla nostra solitudine». l

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