La Nuova Ferrara

L’intervista

Ferrara, Marcorè al Nuovo è Sherlock Holmes: «Ho sfoderato il mio lato più "british"»

Samuele Govoni
Ferrara, Marcorè al Nuovo è Sherlock Holmes: «Ho sfoderato il mio lato più "british"»

Il musical in scena a Ferrara venerdì e sabato. L’attore: «Lui e Watson più attuali che mai»

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Ferrara Conto alla rovescia per la tappa ferrarese di “Sherlock Holmes: il musical”, spettacolo che sarà in scena venerdì alle 21 e sabato alle 16 e alle 21 al teatro Nuovo di Ferrara (piazza Trento Trieste). Ad indossare i panni del celebre investigatore inglese sarà Neri Marcorè, attore e regista che dopo aver celebrato cantautori come De André, Gaber e Testa, è pronto a risolvere intrighi e misteri a ritmo di musica. In attesa di vederlo sul palco del Nuovo lo abbiamo intervistato per scoprire un po’ più da vicino il suo ruolo e capire com’è stato passare dalla Genova di Faber alla Londra di Holmes.

Com’è indossare i panni dell’investigatore più famoso della letteratura?

«È stata una sfida che ho accolto con entusiasmo. Tutto è nato da una proposta degli autori e produttori che mi vedevano perfetto per questo ruolo. Sebbene il canto faccia parte del mio bagaglio professionale da anni – penso al teatro-canzone o ai miei concerti – la vera novità qui non è cantare, ma farlo interagendo con altri interpreti all’interno di una commedia musicale. Nei monologhi sono spesso «solo» con il pubblico o con la band; qui invece c’è il piacere dello scambio di battute e dell’energia di un intero cast».

Di che storia si tratta e, senza svelare troppo, come descriverebbe lo spettacolo?

«È un “musical thriller” ambientato nella Londra del 1897, a pochi giorni dal Giubileo della Regina. Troviamo uno Sherlock che lamenta l’assenza di sfide e criminali alla sua altezza, ma che viene ben presto richiamato all’azione da un omicidio e da misteriosi messaggi cifrati. Insieme a Watson dovrà sventare un attentato che minaccia la Corona stessa. È una storia avvincente che mescola tensione e leggerezza, talmente fedele allo spirito originale da aver ottenuto la supervisione e l’approvazione dell’Associazione Sherlockiana Italiana “Uno Studio in Holmes”».

Com’è il suo Sherlock Holmes?

«È uno Sherlock in cui ho cercato di far confluire molto di me stesso. Non ho voluto nascondere del tutto “Marcorè”, ma piuttosto prestare al personaggio la mia flemma e, soprattutto, la mia ironia. Molti mi dicono che ho uno stile e un umorismo un po’ “british”, quindi il connubio è stato piuttosto naturale. Ho mantenuto le caratteristiche fondamentali di Holmes — osservazione, deduzione, sintesi — ma le ho colorate con quel distacco divertito che mi appartiene. Spero che il pubblico riesca a cogliere il personaggio che conosce bene, ma anche a ritrovare la mia impronta personale».

Ricorda la prima volta che si è imbattuto in questo personaggio? È stato attraverso i libri o le serie tv?

«Non sono mai stato un lettore accanito di gialli, a parte forse qualcosa di Agatha Christie, ma ricordo di aver letto alcune delle avventure di Doyle, come “Uno studio in rosso” o “Il mastino dei Baskerville”. Tuttavia, credo che la figura di Holmes sia ormai radicata nell’immaginario collettivo a prescindere dai libri. Personalmente ho apprezzato moltissimo anche le riletture più moderne, come la serie televisiva con Benedict Cumberbatch, che ho trovato eccellente. È un personaggio talmente iconico che tutti ne conoscono i tratti salienti».

Holmes e Watson sono ancora attuali secondo lei?

«Più che attuali, sono affascinanti perché si completano a vicenda. Holmes è la pura intellettualità, una mente che viaggia a velocità inarrivabili per chiunque altro; da solo risulterebbe distante, quasi alieno. Ecco perché Watson è fondamentale: è il nostro ancoraggio alla realtà, colui che traduce il genio del detective rendendolo comprensibile e vicino al nostro sentire. In scena, grazie alla complicità con Paolo Giangrasso, questo legame diventa un continuo rimpallo tra la deduzione fredda di Sherlock e la reazione emotiva di Watson, creando una dinamica scenica irresistibile».

Qual è l’aspetto che più la diverte ed entusiasma in questo lavoro teatrale?

«Senza dubbio l’energia della compagnia. Lavoro con un ensemble di ragazzi giovanissimi e pieni di talento, ed è fantastico condividere il palco con loro; mi piace l’idea di portare in giro uno spettacolo che richiede un grande gioco di squadra. E poi vedere i teatri gremiti e sentire il calore del pubblico, che apprezza così tanto questo lavoro, è una sensazione impagabile. Infine, c’è il gusto della sfida personale: la curiosità di misurarmi con qualcosa di nuovo è l’ingrediente che mi permette di divertirmi davvero».

Negli ultimi anni il musical in Italia sta prendendo sempre più piede, ha trovato difficile misurarsi con questo genere?

«Non parlerei di difficoltà, quanto di approccio. Non penso che con il musical si «vinca facile»; è un genere che va saputo dosare. Personalmente amo i lavori dove la storia non è schiacciata dalle canzoni, dove c’è equilibrio (penso ad esempio a “Grease” o “Mamma Mia!”) e ho ritrovato questa piacevolezza anche nel nostro Sherlock Holmes. Ho affrontato questo percorso con tranquillità, mettendo la mia esperienza a disposizione del gruppo. La musica è diventata ormai una colonna portante della mia carriera, affiancandosi alla recitazione, quindi questo spettacolo rappresenta una sintesi felice di due anime che convivono in me da tempo».

Per informazioni e biglietti: tel. 0532.1862055.