La Nuova Ferrara

L’intervista

Da Ferrara Lucilla Mariotti è ambasciatrice Stradivari nel mondo: «Vivo di musica ed emozioni»

Nicolas Stochino
Da Ferrara Lucilla Mariotti è ambasciatrice Stradivari nel mondo: «Vivo di musica ed emozioni»

Nonostante l’età, la violinista ha già tagliato numerosi traguardi: «Il futuro? Suonare e insegnare»

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Ferrara Lucilla Rose Mariotti, giovane violinista di talento e ambasciatrice mondiale dello Stradivari, non si ferma. Studi e carriera in questi anni l’hanno portata in giro per il mondo ma per Ferrara conserva un posto speciale nel suo cuore. Dai ricordi d’infanzia ai traguardi più recenti, come il Premio Daniele Gay e l’emozionante tournée in Australia, la violinista si racconta ai lettori della Nuova.

Lucilla, qual è il primo ricordo legato alla musica? «Dobbiamo tornare ai concerti dell’Orchestra della Toscana, dove i miei genitori mi portavano spesso da bambina. Pur non essendo musicisti, avevano un grande amore per la musica. Ero affascinata dai violini e volevo sempre sedermi in prima fila. Ricordo che li costringevo a partire con ore di anticipo e a fare lunghe file fuori dal teatro per assicurarmi il posto migliore. Un momento speciale fu quando raccolsi alcuni spartiti lanciati dai musicisti, che conservo ancora come un tesoro».

Quando ha iniziato a studiare musica e perché ha scelto il violino? «A 5 anni. Mia madre inizialmente avrebbe preferito il pianoforte, ma vicino a casa nostra, in provincia di Lucca, c’era una scuola con un’eccellente insegnante di violino, particolarmente brava con i bambini. Da allora, il violino è diventato il mio compagno inseparabile».

Essere ambasciatrice mondiale dello Stradivari comporta delle responsabilità. Come vive questo ruolo? «Suonare uno Stradivari della collezione Goh è per me un grande onore e una responsabilità. Ogni giorno è una continua scoperta: un piacere unico, ma anche una sfida che richiede tempo, sensibilità e ascolto. Nell’ultimo anno ho dedicato tutte le mie energie a esplorarne il suono, cercando di farlo mio, come in una relazione profonda che richiede dedizione, dialogo e la capacità di lasciarsi sorprendere».

Cosa significa per lei aver ricevuto il Premio Daniele Gay? «È stato un onore, soprattutto perché mi è stato consegnato da Francesco Dego, violinista che stimo molto. Il premio è in ricordo di Daniele Gay, la cui vita è stata dedicata alla formazione musicale. Ho avuto il privilegio di incontrarlo quando faceva parte della giuria di uno dei primi concorsi a cui partecipai, un ricordo che conservo con affetto. Questo riconoscimento mi ha anche dato l’opportunità di tornare a suonare in Italia, a Venezia e Milano, rendendo l’esperienza ancora più speciale».

Qual è stato il momento più emozionante della sua recente tournée in Australia? «È stata un’esperienza emozionante e un po’ inusuale: chiamata all’ultimo momento per sostituire Laura Marzadori, ho ricevuto la telefonata mentre dormivo e, in poche ore, ero già in volo per l’Australia. È stato tutto surreale, come un sogno. I concerti sono stati magnifici: ho suonato con musicisti straordinari, in sale splendide e con un pubblico calorosissimo. Il culmine è stato l’ultimo concerto all’Opera House di Sydney, il sogno di ogni musicista. Un’esperienza che, insieme al viaggio, ha reso tutto ancora più speciale. Viaggiare, infatti, è la mia seconda passione dopo il violino, e unire le due cose è stato un privilegio».

In Australia ha tenuto delle masterclass a giovani musicisti. Come è andata? «In passato, ho già avuto l’opportunità di sperimentare il ruolo dell’insegnante con alcuni studenti venezuelani a Caracas. Anche in Australia, è stata un’esperienza straordinaria. Insegnare e trasmettere la mia passione per la musica, che a sua volta mi è stata trasmessa, è una parte fondamentale del mio percorso. Nelle masterclass, la sfida è riuscire a trasmettere il più possibile in poco tempo, lasciando qualcosa di sé. È un’opportunità unica per ispirare i giovani talenti, condividendo non solo l’aspetto tecnico, ma anche il proprio modo di vivere e sentire la musica».

Il suo percorso può ispirare i musicisti italiani? «Spero di sì, soprattutto per la musica classica, che spesso appare lontana dalla realtà di tanti giovani. Credo che la musica, e in particolare quella classica, sia un potente strumento per entrare in contatto con le proprie emozioni. In un mondo diviso, la musica può essere un mezzo straordinario di connessione e comprensione reciproca. Inoltre, spero di essere un esempio di impegno e dedizione, dimostrando che la passione e la perseveranza danno un senso profondo alla vita e ispirano gli altri a credere nel potere della musica».

Quali progetti e aspirazioni ha per il futuro? «Il mio obiettivo è continuare a suonare, esplorando nuovi orizzonti e confrontandomi con diverse culture, per arricchire sia la mia crescita personale che quella degli altri. Aspiro a ispirare le persone attraverso la mia musica, trasmettendo emozioni profonde e autentiche. Proseguirò con i concerti e con l’insegnamento, cercando sempre di connettermi con il pubblico e di far vivere loro l’esperienza unica che la musica può offrire».

Ai nostri lettori, 5 anni fa, disse che Sibelius era l’autore che più stava approfondendo. Oggi chi predilige? «Negli ultimi anni ho ampliato molto il mio repertorio, ma Sibelius rimane un compositore con cui sento una connessione profonda. Nel mio progetto di Fellowship al Royal College of Music, ho esplorato la sua musica da camera, approfondendo il legame tra sinestesia e la natura del Nord Europa. Ora a Hannover, mi sto concentrando sulla musica tedesca, ma i miei interessi sono molto ampi. Ho anche un progetto in programma che include un compositore italiano, su cui spero di concentrarmi presto».