La Nuova Ferrara

L’intervista

Giulio, l’influencer che parla di letteratura e poesia sui social

Ginevra Bianchi
Giulio, l’influencer che parla di letteratura e poesia sui social

Da Schio a Ferrara: “Sono arrivato per l’università e sono rimasto”. Zambon si racconta

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Ferrara Influencer letterario”, nel gergo dei social, non è un termine ancora in voga. Bisognerebbe usare il sinonimo “booktoker”, che però non sente suo. E allora, il tiktoker da più di 150mila visualizzazioni per video Giulio Zambon, ferrarese d’adozione ma vicentino di nascita, come si definisce? «Uno che fa poesia e altre cose contundenti», risponde. In questa intervista alla Nuova, racconta molto altro di sé, parlando del suo amore per la letteratura, del suo legame con Ferrara e, soprattutto, del suo percorso social.

Zambon, come è arrivato a Ferrara? «Mi sono trasferito per la triennale, volevo studiare lettere. Una volta laureato ho scelto di andare a fare i due anni di magistrale a Bologna, dove c’era un corso che si focalizzava molto sul Novecento. Finiti gli studi, però, ho deciso di rimanere a Ferrara: è una città che interseca dentro di sé una calma e un silenzio che aiutano la scrittura. Ferrara è particolare: non ho mai avvertito una vera differenza tra le mura di casa e ciò che sta fuori. Si dice che fosse capitato ad Ariosto di uscire di casa in pantofole. Ecco, anche a me questa città dà la stessa sensazione di tranquillità e agio».

È Vicentino d’origine, però. Sente ancora un legame con la sua città natale? «Sono di Schio, un paese di provincia che sta ai piedi delle montagne e, anche se non ci torno spesso, rimane un luogo che sento mio. Ferrara, però, ha totalmente il mio cuore».

E come è nata la passione per la letteratura? «È nata dal dolore che provavo durante l’adolescenza. Quando trovi un autore o un poeta che riesce a dire ciò che senti meglio di quanto tu stesso possa fare, è rincuorante. In terza superiore leggevo molto, soprattutto poesie e testi teatrali. Scrivevo, ma male. Poi ho scoperto autori che venivano trovati dalle parole giuste e riuscivano a metterle su carta. Lì ho capito che, allo stesso modo, anche io potevo essere trovato dalle parole».

Quando ha deciso di portare la poesia sui social? «Era da un po’ che notavo che veniva fatta una grandissima divulgazione della letteratura sulle piattaforme social, ma che si confondeva lo studio della poesia con il fare poesia. Mancava una narrazione legata al fare. Voglio venga recepito attraverso i miei video che, in poesia, non importa l’età. Ci possono essere esperienze e frequentazioni più approfondite, ma con la penna in mano e il foglio davanti abbiamo tutti la stessa età. Accendere la videocamera è stato un gesto spontaneo. Quel che non mi aspettavo è il legame che si è poi creato con il pubblico».

Perché, che tipo di riscontro ha ricevuto? «La mia esperienza personale si è intrecciata con quella di tanti aspiranti poeti e tantissimi giovani che mi scrivono su Instagram e TikTok per chiedermi consigli o per farmi leggere i loro testi. Questo mi ha fatto capire quanto sia viva la poesia, quanto le persone abbiano bisogno di esprimersi. Nel 2025 la poesia non è morta perché non siamo morti noi. È la nostra voce».

Ma la poesia basta per esprimere il dolore? «Il dolore è un inizio, ma non basta. Ci vuole lavoro e consapevolezza, ma si può iniziare da lì. Scrivere aiuta a capire il dolore e, talvolta, ad accompagnarlo alla porta».

Come vive il rapporto con i ragazzi che la seguono? «Dialogo sempre con ciascuno. Dedico tempo a chi mi scrive, mi accorgo che c’è tanto bisogno di ascolto».

E il suo futuro? «Sto facendo supplenze in licei e scuole medie. Mi nutro molto del rapporto con i ragazzi e spero di continuare a insegnare, ma senza mai smettere di scrivere e condividere la mia esperienza con la poesia».