La Nuova Ferrara

L’intervista

Federica Pellegrini e la sua vita da allenatrice: «Lo sport è importante ma non deve essere uno stress. I figli lasciateli divertire»

di Emilio Piervincenzi

	Federica Pellegrini dopo la vittoria della sua ultima gara e durante un evento
Federica Pellegrini dopo la vittoria della sua ultima gara e durante un evento

Tre medaglie olimpiche e 19 medaglie mondiali, ora la campionessa allena i giovani alla fede Academy di Livigno: «Fare attività sportiva è educativo se i genitori non creano aspettative. Non tutti diventano campioni»

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Chi non conosce Federica Pellegrini? Le sue vittorie, le sue medaglie, i suoi amori, le sue fragilità da lei stessa mostrate. Eppure c’è ancora una Federica che non conosciamo, un angolo di vita più riservato e nascosto eppure se possibile perfino più luminoso di una medaglia d’oro vinta alle Olimpiadi. C’è tanta tenerezza nelle parole di Federica quando la conversazione poggia su temi quali la famiglia, la maternità, l’amore coniugale. Ma c’è anche la sensazione di godere di un privilegio importante quando cerchi di capire che cosa significa mischiare l’essere mamma con l’essere campionessa con l’essere donna. A Livigno, dove c’è la «Fede Academy» di Federica e suo marito Matteo Giunta, nevica. Una congiuntura atmosferica che poco c’entra con il nuoto e l’acqua delle piscine. Mentre c’entra e molto il rapporto tra genitori e figli quando di mezzo c’è lo sport. Perché lei, Federica, ha vissuto sulla sua pelle, potremmo dire sul suo corpo, le difficoltà di un matrimonio, diciamo così, fra una ragazzina che cresceva e uno sport che aumentava proporzionalmente di pretese e obbiettivi. È, questo, uno dei grandi temi che accompagna la crescita di un bambino che fa sport.

Secondo la sua esperienza, come si gestisce, come si risolve?

«È una fase delicatissima, io ho vissuto cambiamenti fisici, pressioni e aspettative tutte insieme. Serve un ambiente che ti protegga, ti ascolti, non ti giudichi. È importante che chi sta accanto all’atleta, in primis la famiglia, ricordi che sta crescendo una persona, non solo un probabile campione. Bisogna dare tempo, lasciare spazio, permettere di sbagliare. A me ha aiutato anche cambiare contesto quando serviva: ascoltarsi e avere il coraggio di ricominciare è parte della crescita».

Un giorno Matilde, sua figlia, le dice: mamma, il mio sport è il nuoto. Sviene o fa un salto di gioia?

«Sorrido! La verità? Se sarà felice, io sarò felice. Certo, essendo consapevole che il nuoto è uno sport bellissimo ma anche faticoso e totalizzante. Non le imporrò mai nulla: spero solo che trovi la sua strada. Se sarà l’acqua, la accompagnerò con amore, ma senza pressioni. L’importante è che sia una sua scelta, vissuta con entusiasmo e libertà».

Lo sport, come ha scritto lei nel libro firmato con suo marito “In un tempo solo nostro”, è molto importante nella crescita di un bambino. Quali errori non deve fare un genitore in questo percorso?

«Il più grande errore che si possa commettere è vivere lo sport dei figli come una rivincita personale. I bambini devono divertirsi, non sentirsi in dovere di vincere per compiacere i genitori. Mai sostituirsi agli allenatori, mai fare paragoni con altri, mai sminuire. Il genitore deve essere una presenza solida, che sostiene ma non schiaccia».

Fede Academy che cosa fa?

«La Fede Academy è un progetto ideato da me e mio marito Matteo Giunta con sede a Livigno. La nostra Academy è rivolta a ragazzi e ragazze, dai 7 ai 18 anni, che vogliono migliorare la loro tecnica in acqua ma anche vivere lo sport in modo sano, senza pressioni. Ogni anno attiviamo anche alcune borse di studio. Crediamo profondamente che lo sport debba essere un’opportunità aperta a tutti, non un privilegio per pochi».

Perché sceglierla?

«Perché si lavora con serietà, ma senza stress, non ci interessa formare solo futuri campioni: vogliamo formare persone motivate, serene che poi – se vorranno – diventeranno anche atleti».

C’è un vademecum di comportamenti, decisioni per un genitore per non danneggiare la psicologia del figlio?

«Non proiettare sui figli i propri sogni. Non forzarli a restare in uno sport che non amano. Non criticarli dopo una sconfitta. Non fare confronti. Non giudicare l’impegno solo dai risultati. I bambini devono sentirsi amati indipendentemente dalle medaglie. Lo sport è scuola di vita, ma solo se vissuto in modo sano e sereno. Questi sono i miei consigli».

Come si sono comportati con lei i suoi genitori quando si iniziava a intravedere il suo potenziale?

«I miei genitori sono stati esemplari: presenti, ma mai invadenti. Hanno sempre rispettato i miei tempi, le mie scelte. Mi hanno lasciata andare a Milano a 16 anni, con dolore ma fiducia. Non mi hanno mai fatto pesare una sconfitta, né esaltato troppo dopo una vittoria. Sapevo che, in ogni caso, sarebbero stati lì per me. Ed è stato fondamentale per la mia crescita, per non perdermi».

Lei era molto giovane quando ha lasciato casa per il nuoto. Ha sofferto?

«Moltissimo. A 16 anni vivere da sola in una grande città è stato uno shock. Ho sofferto di solitudine e disorientamento, e ho avuto anche un contraccolpo psicologico. Ma quell’esperienza mi ha forgiata. Mi ha insegnato ad arrangiarmi, a conoscermi, a diventare adulta in fretta. È stato un dolore che mi ha fatto crescere».

Ha visto genitori invece il cui comportamento ha danneggiato il proprio figlio?

«Ne conosco, certo. Ma non faccio nomi anche perché purtroppo può capitare che anche senza volerlo, i genitori incidano negativamente sul percorso dei figli. Succede quando si crea troppa aspettativa, quando ogni errore viene vissuto come un fallimento, o quando si confonde il sogno del genitore con quello del bambino. L’intenzione è quasi sempre positiva, ma l’effetto può essere opposto. È importante che i genitori restino un punto fermo, un sostegno, non una pressione. Così facendo, se il ragazzo o la ragazza hanno talento, forza, determinazione, senso del sacrificio, nulla si frapporrà fra loro e il risultato».

Parola di Federica Pellegrini?

«Sì, sono certa che andrà così».