Terremoto in Emilia, 27 morti e 400 feriti: quei secondi che ci devastarono
Nel 13° anniversario, il punto col direttore dell’Agenzia Regionale Ricostruzione. «Resta un 5% da completare. Gli inizi sono stati difficilissimi, era tutto nuovo»
Ferrara L’alba tragica di domenica 20 maggio 2012: scossa di magnitudo 5,9. Nove giorni dopo un ulteriore distruttivo colpo di coda: scossa di magnitudo 5,8. Ventisette morti, oltre 400 feriti. Migliaia di sfollati. Danni per 13 miliardi di euro. Un cratere con 59 Comuni coinvolti e 4 province: Ferrara, Bologna, Modena e Reggio Emilia. Tredici anni dopo la rinascita è pressoché compiuta. Enrico Cocchi, ferrarese classe ’58 («geologo per caso» sussurra), è stato tra i protagonisti dell’enorme lavoro di "rimessa in piedi" dell’universo emiliano. È il direttore dell’Agenzia Regionale Ricostruzioni: s’è relazionato col Governo, con Commissari ministeriali, presidenti regionali, aziende, cittadini, professionisti. Problemi ed esigenze, numeri e idee. Un punto di riferimento.
Rewind: Cocchi, sono da poco passate le 4 del 20 maggio…
«Mi ha svegliato uno scossone: ho capito che non era una cosa banale. Ero nella mia casa di via Bologna, le gente in strada. Una parte dell’Emilia travolta, poi con la seconda scossa venne coinvolta anche una fetta dell’Oltrepo mantovano».
Si rende necessaria l’Agenzia della Ricostruzione…
«Inizialmente un affiancamento tecnico al Commissario delegato: una sorta di anello di congiunzione. Poi nel 2015 l’Agenzia s’è trasformata in coordinamento, programmazione e controllo. Prima la realizzazione delle opere, quindi la concessione dei rimborsi. Ci siamo messi a disposizione di tutte le attività imprenditoriali e dei singoli cittadini».
Nel 2012 l’Agenzia era struttura temporanea, adesso è permanente.
«Perché all’inizio c’era da gestire l’emergenza, mentre successivamente abbiamo supportato il processo della ricostruzione a tutti i livelli. Diciamo che dapprincipio eravamo noi la "stazione appaltante" con responsabilità dirette, in seguito questa responsabilità è passata ai proprietari - fossero privati o enti pubblici - e noi abbiamo coordinato. Controlliamo che tutto sia in regola».
Gestire tanti tavoli tecnici con soggetti diversi non è una passeggiata.
«In questa logica di accorpamento la Regione ha tanti ruoli: era tutto nuovo. Abbiamo iniziato seguendo un percorso suggerito dall’Unione Europea: le nostre prime ordinanze osservavano quella falsariga. Anche per evitare scherzi».Quali?«Che per errori nelle pratiche chi aveva ottenuto rimborsi si trovasse poi nella condizione di doverli restituire».
Diversi Governi sono mutati: difficoltà?
«Mannò: è sempre stato rinnovato lo stato di emergenza. Semplicemente i soldi non sono arrivati tutti in una volta, bensì dilazionati nel tempo. Con l’ultima Finanziaria della Meloni sono stati stanziati gli ultimi 49 milioni di euro».
Le scelte innovative?
«Diluire i costi attraverso i crediti di imposta. Con gli istituti bancari a fungere da garanti. Le banche, hanno aderito in 42 istituti, hanno contemporaneamente svolto il ruolo di finanziatori, anticipatori di denaro e gestori. In alcuni casi hanno pagato loro direttamente i lavori in attesa dei ristori».
Lei ha da subito fissato quattro punti strategici per la pianificazione: costruire case e centri storici, infrastrutture, territorio-ambiente ed economia.
«Ricostruire il patrimonio immobiliare era essenziale, poi la qualità urbana. E ovviamente c’era da rimettere in moto le imprese. Abbiano fatto tutto con il confronto: tavoli permanenti con gli ordini professionali, i sindaci, i costruttori...».
Numeri?
«Ne cito alcuni: 42mila lavoratori in cassa straordinaria da sisma. In due anni tutti riassorbiti. Ancora: 45mila studenti senza scuole. Tra alcune aule riaperte e doppi turni abbiamo sopperito in fretta».
Dopo 13 anni rimangono da terminare i lavori nei luoghi di culto.
«Abbiamo equiparato la chiese ai luoghi di aggregazione: penso, ad esempio, ai 39 teatri ripristinati. Poi attenzione alla differenza tra restauro e ricostruzione: sono gli ultimi interventi rimasti e sono complessi. Quando si perde l’80% della struttura, come interveniamo: rifacciamo un falso storico o rinnoviamo? Penso a Palazzo Schifanoia a Ferrara: il Comune s’è inserito nel processo di rifacimento e con denari suoi ha colto l’occasione per ripensarlo e ridare alla città un gioiello».
Quanto rimane per chiudere l’intero cerchio della ricostruzione?
«Direi meno del 5%».
Se chiude gli occhi e pensa alla difficoltà maggiore?
«L’inizio. Era tutto nuovo e dovevamo dare delle regole, scoprendone la necessità man mano: non c’erano basi giuridiche. Un sindaco ci disse "Per anni ci avete allenato a gestire un’alluvione, ma questo è un terremoto". Posso dire che il sistema Emilia Romagna questa tragedia non l’ha subita. Ha saputo reagire».